Leila di Adriana P.

Leila era la peggiore puttana del paese. Non che non mostrasse dignità nel suo lavoro ma era come i coperti della pizzeria giù all’angolo: cinquanta a giorno. Leila non nascondeva le sue prospettive, se vogliamo chiamare prospettive i centimetri di seno che quotidianamente lasciava in pasto agli occhi indiscreti di tutti, e neanche si nascondeva dai commenti delle vecchie del paese, proprio quelle che ogni giorno dalla loro panchina che affacciava sulla piazza del mondo evidentemente invidiavano chi poteva dare e avere più di loro. Insomma, Leila quello era e quello faceva e mi ricordo come fosse oggi i pomeriggi d’estate passati ad osservare la sua abitazione: che frequentazioni assidue, dal macellaio al notaio, dal giornalaio al fioraio. La casa di Leila non era proprio un porto di mare, perché di barche non ne ho mai viste entrare, ma un centro di raccoglimento di monnezza indifferenziata sì. Che bella casa poi si era scelta: affacciata sul mare e su quegli alti scogli da cui potevo sbirciare. Da cui lei mi faceva sbirciare. Già, perché io tenera fanciulla al varco della pubertà ancora non sapevo se chiamarla puttana uniformandomi alle vecchie del paese o se definirla amatrice e lasciarmi amare da quei centimetri di seno scoperto sprofondandoci dentro. Fatto sta che per quanto tutti guardassero a Leila in malo modo io vedevo in lei un’anima pura, ricoperta da un’aurea bianca, come fosse stata l’ultima delle vergini. Lei era nera, la donna nera per chiunque: per le donne che la additavano come amante dei mariti e per i mariti che prima se la scopavano e poi si fingevano pentiti e adducevano scuse poco plausibili. In fondo si sa, da sempre è colpa della donna. Io Leila la vedevo così candida e la immaginavo sola, passati quei cinquanta coperti; la immaginavo pura anche nel suo lavoro e nel darsi agli altri. Potevano chiamarla puttana ma per me non lo era. Quando anche sono cresciuta, Leila che aveva poco più di dieci anni in più di me, continuavo a vederla nella sua abitazione sempre affollata, e non aveva smesso di essere una bella donna. Forse la sua anima era sempre bianca ma la mia non più: ora avrei saputo cosa fare con quei centimetri di seno scoperto.
Leila era la puttana peggiore del paese, o la migliore vista la quantità di affari. La mia anima si colorava di rosso quando la vedevo passare, come anche le gote, ma io non la volevo come tutti gli altri. La sua anima era bianca e io la volevo solo per me.