Il tutto di Regina Re

E la prima lezione fu: “Senza l’amore non ho più nulla”. La seconda cancellò con una croce la prima: “Senza il denaro non ho più nulla”. Ma quando mi trovai a scrivere su quel foglio: “Senza il tutto non ho più nulla…”, allora realizzai che quello era il grande appuntamento, quello che il destino per me aveva scelto.
C’era un motivo dietro quel risveglio nell’assenza del tutto e lo stesso motivo si nascondeva dietro il dominio incontrastato di quel nulla. Dovevo soltanto cercare e trovarlo. Ma come si può cercare nel nulla?
Ero convinta che in fondo alle banalità che imperavano nel mio cervello avevo di certo sepolto da qualche parte qualcosa di utile da tirare fuori al momento opportuno. Mi resi subito conto di aver nascosto quel qualcosa così bene da non riuscire più a trovarlo. Pensai a quante volte avevo compiuto quel rito e poi avevo dimenticato il luogo segreto. Se non altro quel luogo era rimasto davvero un posto segreto e ciò che avevo nascosto nel tempo era diventato un vero tesoro. Poi però l’avevo dimenticato e quel tesoro era diventato un potenziale tesoro per altri ma non più per me.
Poi quel gioco, quello di nascondermi e aspettare che gli altri mi trovassero e ridere mentre la mamma gridava disperata il mio nome da ore cercandomi invano. Allora meglio non uscire, avevo pensato. Mi ero infine addormentata quando in lacrime lei mi aveva trovata. Non dovevo più fare quel gioco e allora smisi di nascondermi, almeno avrei evitato di dimenticarmi da qualche parte!
Ma che cosa c’entra con tutto questo? Sto perdendo tempo, tempo, tempo…Tempo?
Nella mia nuova condizione non vi era tempo, luogo e causa ma soltanto un effetto che assumeva la forma della mia totale percezione dell’ignoto, del quale purtroppo non riuscivo a delineare neanche l’ombra. Le uniche cose a disposizione erano quel foglio e quella penna, ma dopo i tre puntini vi era soltanto una cosa: “Il nulla”:
Avevo ricevuto diverse medaglie e il tempo era stato l’unità di misura dei miei successi e anche dei miei fallimenti. Volevo raggiungere il primo posto, a tutti i costi. Intorno tutti ambivano a salire sul podio e, nella loro corsa, non badavano a giocare sporco. Ma quando la competizione divenne una corsa infinita, una corsa priva di traguardi, fu allora che decisi di tracciare da me quella striscia e per terra la segnai.
Volevo riprendermi tutto il mio tempo e spenderlo a mio piacimento. Fu proprio allora che cominciai a perderlo.
Avevo forse segnato la fine della mia corsa? Qual’è l’unità di misura del tempo, dov’è il suo valore quando l’assoluta libertà ne annulla lo spessore? Avevo imparato a mettere il punto, la fine di tutto e l’inizio di tutto. Avevo compiuto la mia prima scelta, ma subito dopo mi ero sentita persa.
Mi trovavo ad aprire un’agenda vuota, nessun appuntamento, nessun orario, nessun inizio e nessuna fine, ero padrona di tutto ma il tutto assumeva un’unica connotazione, avevo scoperto cosa c’era dietro la ribellione. Bisognava prendere una posizione al più presto, ma decidere cosa vuoi essere e dove vuoi stare divenne per me la cosa più difficile da realizzare. Tutti mi dicevano cosa era bene fare e ciò che non si doveva fare ma nessuno mi diceva come fare e come non fare.
Fu allora che incontrai Lui.
Lui era Ainigriv e Anigriv da sempre era il contrario, la negazione del tutto e l’affermazione del nulla. Di solito Ainigriv rispondeva No quando si trovava di fronte ad un Sì e rispondeva Sì quando si imbatteva in un No. Lui era sicuro di sé e di ciò che voleva, lui sapeva sempre tutto. Quando ero in difficoltà mi consultavo con lui ma lui non aveva mai pietà di me. Un amico ti consola, lui mi feriva quando ero già ferita. Più volte avevo pensato di abbandonarlo ma più volte ero tornata a cercarlo.
C’era qualcosa che mi legava a lui, qualcosa che non riuscivo a capire ma sapevo che c’era. Non sapevo nulla di lui ma lui sembrava conoscere tutto di me. Mi infastidiva il non essere padrona dei miei pensieri e scoprire ogni volta che a lui non potevo mentire, non ero più neanche padrona delle mie bugie.
Rideva quando ero furibonda e mi guardava con aria di sfida ma ad ogni mia domanda si voltava e con la mano indicava il cielo e diceva: “Mia cara, perché cercare ciò che si ha? Perché vuoi sapere quante stelle ci sono nel cielo se le puoi semplicemente contemplare?”. Ainigriv mi lasciò il giorno in cui decisi che lui era troppo complicato per me, come al solito non ci fu neanche bisogno di informarlo. Non lo cercai più, non mi curai di chiedere di lui in giro, di sapere se stesse bene e soprattutto di sapere se lui sentisse la mia mancanza.
Non volevo sapere che lui probabilmente stava benissimo senza di me.
Ma nel luogo senza cielo e senza stelle improvvisamente mi resi conto che avevo l’assoluta necessità di rivederlo, di parlare con lui, di arrabbiarmi con lui, di farmi prendere in giro da lui.
Fu allora che cominciai a piangere perché nel luogo senza cielo e senza stelle mi trovavo sola a contemplare i miei ricordi.
Ma non appena accennai al suo nome, d’improvviso la sua figura mi apparve. Lo sguardo era lo stesso di allora, uno sguardo pieno di sufficienza e di mille altre cose che non saprei raccontare. Ero sorpresa e lo guardai prima con uno sguardo pieno di stupore e, subito dopo, con uno sguardo intriso di profonda vergogna. La parola “scusa” era lì, strozzata nella mia gola, perché scusarmi significava ammettere tutto ciò che mai avrei voluto dirgli.
Ainigriv mi guardava in silenzio e mi fissava dritto negli occhi aspettando, come sempre, i miei soliti slanci di presunzione.
Decisi allora di rivolgermi a Lui. Soltanto lui avrebbe potuto darmi una risposta. Ma Ainigriv non aspettò le mie scuse, né aspettò le mie domande. Anigriv aveva già pronta la sua risposta, come sempre, ma stavolta non rispose a parole, prese le uniche cose che si trovavano nel nulla e scrisse sotto la mia frase: “…e quanto tutto c’è nel mio nulla.”