No music no Life tratto da “L’uomo nudo con le mani in tasca” di Oliviero Angelo Fuina

(…) Through the barricades, degli Spandau Ballet.
Siamo al primo giorno dell’anno 1987, poco prima di mezzogiorno.
La notte di San Silvestro non me lo ricordo nemmeno dove facemmo il brindisi; mi ricordo soltanto qualcosa di vago circa un interessarmi per prenotare due posti in un locale di San Primo o dintorni, nei pressi del Ghisallo, qualche chilometro più distante e più in alto di Oggiono .
Presumibilmente siamo stati lì, prima di tornare, di notte, a casa mia, o meglio, alla mia pensione, per dormire insieme sempre nella famosa camera numero tre. Sì, quella che avevo condiviso anni prima con Ondine, e suo fratello.
Ricordo però benissimo il completino intimo molto sexy che aveva indossato per l’occasione e il mio desiderio di lei che mi faceva stare quasi male. Fu una piacevole notte, ricca di magici momenti condivisi pienamente e anche di un dormire abbracciati per pochissime ore. Intimo momento al pari e forse più del buon sesso che ci siamo reciprocamente offerti quella notte di confine tra i due anni. Quello in cui sentivo d’essere nato e quello che ancora non sapevo che sarei morto.
Verso le undici scendemmo al bar, salutammo mia madre che già era lì a lavorare da qualche ora, bevemmo un caffè e la riportai a casa per poter poi sostituire mia madre in servizio. Era un primo gennaio di sole meraviglioso, sia nel cuore che nel cielo. Viaggiai piano verso casa di Fausta, che distava pochi chilometri, per far durare più a lungo quel viaggio con lei al mio fianco. A nemmeno due chilometri da casa sua alla radio cominciò quel meraviglioso brano degli Spandau e in quel momento sentii di avere tutto l’universo accanto a me e dentro me. Quell’arpeggio di chitarre, quella voce melodica e soprattutto lei che appoggiò la sua testa sulla mia spalla destra, mi fecero letteralmente scendere lacrime di gioia sulle guance. Fausta se ne accorse e senza dire nulla me le baciò, me le asciugò con le sue carezze di labbra, e mi tenne la mano che avevo sul cambio stretta tra le sue (Tanto più che in terza non avrei messo data la bassa velocità di marcia). Il mio cuore scoppiava d’immensa felicità! Non avrei potuto chiedere nulla di più alla vita in quel momento se non l’eternità dello stesso momento. Sulle note finali della canzone arrivammo comunque davanti al cancello di casa sua e provai l’impulso irrazionale di far manovra veloce con la macchina e scappare via da lì con lei per non vederla scendere da quella bolla di magia che si era formata. Alla gioia di quel momento meraviglioso, di quell’epifania del cuore che non ne voleva sapere di starsene tranquillo nel petto, percepivo l’irrazionale sensazione che se fosse scesa dalla macchina nulla sarebbe stato più come quel momento. E nel salutarla alla porta per tornare al mio bar percepii la sensazione di aver vissuto con lei l’ultimo ultimo dell’anno, e primo. E così fu. Fisicamente la vidi l’ultima volta al mio compleanno di agosto, dopo che a Luglio mi aveva lasciato. Effettivamente però io portai lei e l’essenza di quel momento con me per decine di altri veglioni di San Silvestro.
E “I will always love you” di Whitney Houston fu il suo regalo di compleanno, da ex mia ragazza. La musicassetta originale, insieme all’ultima di Bennato (ok Italia), fu il suo regalo d’addio, visto che poi non la vidi più se non nei miei sogni o nei riflessi delle mie lacrime dentro lunghe veglie. “Io ti amerò sempre”, diceva Whitney Houston. Una contraddizione regalatami da lei che rappresentava tutto me stesso, in quel momento.