La vita cambia di Elisabetta Bagli

E’ il suo segreto, questa forma di terapia.
Alle cinque, quando ha finito, non vede l’ora di tornare a casa, di togliersi le scarpe e di mettersi in poltrona.
Di solito ha un giornale e una bibita già pronti sul tavolino perché a Paola piace coccolarlo.
Lui beve, legge, si riposa, poi va a fumare una sigaretta sul balcone e aspetta.
Verso le sei e mezzo spunta il gatto sul terrazzo di fronte.
E’ un persiano bianco, di quelli di razza.
Si guarda intorno, poi con un salto raggiunge il cornicione più in basso e fa quella cosa.
Stefano pensa che sono già tre mesi che abita nella nuova casa con Paola e ancora non è riuscito a vedere il padrone di quel gatto. Lui e il bianco animale sembrano avere un appuntamento quotidiano. Alla stessa ora, tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, la porta-finestra del terrazzo al quarto piano dell’edificio di fronte al suo si schiude ed esce il gatto che inizia a giocare cercando il suo equilibrio sul cornicione. Stefano è sempre lì con la sua immancabile sigaretta, pronto ad osservarlo mentre si stiracchia e mette le zampette una dietro l’altra, sicure, senza alcun cedimento, proprio così, come fanno i felini, sprezzanti ed inconscienti del pericolo. Dall’alto del suo sesto piano vede perfettamente ogni mossa del suo piccolo amico. Vorrebbe sapere se anche durante il fine settimana ha la stessa abitudine di andarsene in giro per cornicioni o se preferisce rimanere avvolto dal calore delle gambe del suo padrone. Lui e Paola, nei week-ends, non sono quasi mai a casa. Amano fare passeggiate nei boschi, in campagna, al mare, da soli o in compagnia di amici. Amano esplorare posti nuovi, approffittare del tempo insieme, prima che la vita, inesorabilmente, li cambi. Il sabato e la domenica il gatto persiano spariva dalla vista di Stefano. Ma la curiosità per il mistero di quella casa rimaneva nella sua mente. E il lunedì successivo sperava sempre di veder soddisfatta quella sua cuiosità. Ma ancora niente da fare.
Sembrava come se il gatto abitasse da solo in quella casa. Mai una luce, un movimento, un segnale di vita. Stefano vedeva sempre e solo il gatto. Ma qualcuno doveva accudirlo, qualcuno doveva aprire e chiudere quella porta-finestra del balcone per farlo entrare ed uscire. Anche oggi la sua curiosità doveva rimanere tale?
Stefano decide di aspettare ancora, fumando un’altra sigaretta, riposando la mente nell’osservare la sinuosità dei movimenti di quell’ammasso di pelo bianco-latte.
All’improvviso la porta-finestra si schiude di più e si vede la mano di una donna richiamare il gatto. Ma non esce nessuno.
“Perché non esci e non ti fai vedere? Sono mesi che mi tieni incollato qui per scoprire chi sei e l’unica cosa che sono riuscito a vedere sono delle dita affusolate, bianche che escono fuori dall’oscurità della tua casa. Me lo dice sempre Paola che sono un tipo troppo curioso io, peggio delle donne. Sicuramente la mia è deformazione professionale. Noi fotoreporter non possiamo farci sfuggire nessun dettaglio. Dobbiamo sempre investigare.
Quelle dita affusolate. A chi appartengono? Ad una donna, sicuro… Il gatto, però ancora non torna su. È ancora sul cornicione incurante del richiamo della sua padrona. Chissà, forse oggi la potrò vedere.
Mi accendo un’altra sigaretta, così aspetto ancora un po’. Sento che l’attesa porterà i suoi frutti. Paola oggi arriverà più tardi del solito. Dopo il lavoro deve passare da sua madre per portarle la spesa. Anche questa ci mancava. Com’è possibile che certe donne, a qualsiasi età, pensano di potersi arrampicare ovunque, salendo su sedie e scale per poter fare le pulizie di casa come se fossero sempre giovani, proprio come se fossero delle gatte? E poi succede che magari cadono rompendosi gambe e braccia, senza capire che il tempo passa per tutti, uomini e donne. Orgoglio femminile. Certe donne non vogliono chiedere aiuto per non farsi vedere deboli, per mantenere il punto, rimanendo perennemente bambine. Non so perché mai, alcune hanno anche la necessità di sentirsi vittime del mondo intero e per questo sono sempre in lotta con tutto ciò che le circonda.
Emilia è così. Meno male che sua figlia Paola non lo è. Lei è tutto ciò che ho più desiderato dalla vita. Lei mi ama, è mia complice, è straordinariamente donna. Sa tutto di me. Mi scruta con quel suo sguardo intenso e riesce a capirmi anche solo da una ruga in più sul mio viso. Vittoria era diversa, era come Emilia. Una donna forte che voleva fare tutto da sola, non aveva bisogno del mio aiuto. Non mi amava veramente. Era egoista, amava solo se stessa e sentire se stessa. Per questo ho deciso di togliere il disturbo. L’ho lasciata sola a farsi consolare da qualcun altro. A farsi consolare da… un gatto!
Vittoria! Sei tu la sua padrona. Sei uscita in balcone e stai chiamando la tua gatta -Bella! Bella! Dai vieni qui!-. Ma la gatta è ancora rannicchiata sul cornicione in basso e non ne vuole sapere di ritornare su.
Vittoria sei ancora più bella dell’ultima volta che ti ho visto. Sembri rifiorita. Non hai più quello sguardo duro che avevi prima. Sembri dolce, indifesa. Chissà che ti ha fatto cambiare? La tua vestaglia bianca si apre con il vento e lascia intravedere le tue gambe tornite e lisce. Immagino cosa c’è andando ancora più su. E ancora più su. Ricordo perfettamente il tuo corpo caldo e profumato quando facevamo l’amore. Sembravi docile, ma eri una belva. Mi lasciavi entrare solo dopo un’estenuante gioco che inventavi tu, ogni notte diverso. Giocavi con me sul filo di lana. Sapevi come tenermi a bada. Non volevi che fossi io a condurre il gioco. Volevi farlo tu. Ti piaceva così ed io non mi opponevo, ti amavo. Avevamo pochi interessi in comune, ma mi piacevi. E alla fine neanche il sesso era per tutti e due, era solo per te. Mi hai logorato dentro. Con il tempo mi sono reso conto che non era quello che volevo. Anche se ti desideravo, io ricercavo equilibrio nella mia vita. Tu volevi solo passione sfrenata e divertimento. Con te sentivo intense scariche di adrenalina. Al principio mi piaceva. Ma non si possono vivere le emozioni e le sensazioni sempre al massimo, nella vita. Perdi te stesso. Avevo bisogno di equilibrio, quello che tu non volevi. Eri una bambina capricciosa che punta i piedi per sentirsi donna, quello che non eri. Con te mi sentivo un po’ come la tua gatta quando cammina sul cornicione in basso, sempre in bilico. Non andava bene, non per me. Io volevo creare qualcosa di duraturo con te e tu non volevi. Non ti sentivi a tuo agio con certi discorsi.
Ho conosciuto Paola. Una donna a tutto tondo, una donna forte e fragile nel contempo. Una donna che è sempre con me qualunque cosa io faccia. Ed io con lei. Una donna che non ha paura di chiedermi aiuto e di darmelo, che non ha paura di mostrare le sue debolezze e di curare le mie ferite. La mia donna. Ora ha nel suo ventre il nostro futuro.
Entri in casa. Dove vai, Vittoria? Esci di nuovo in balcone. Hai in braccio un frugoletto avvolto in una candida coperta dalla quale pende un piccolo fiocco rosa. Tua figlia. È lei il motivo del tuo viso sereno. La coccoli. Le sussurri parole che non riesco a sentire e che avrei tanto desiderato fossero state dirette a quel figlio che non abbiamo avuto. La vita cambia e tu, finalmente, hai incontrato il tuo equilibrio.
Vittoria alza il volto al cielo e lo vede. Stefano le sorride e lei sorpresa lo saluta indicandogli la sua nuova vita. Lui ricambia il saluto sorridendo ed entra in casa. Si dirige verso la sua poltrona. Prende il giornale ma non lo legge. Il suo sguardo è rivolto verso il vuoto. I suoi pensieri sono altrove.
“Il mio equilibrio è qui”, pensa.