La Musicista di Elena Grifoni

La sala era gremita. Il teatro era di quelli vecchio stile, con un’ampia platea e dove i palchi, finemente decorati in rosso e oro, giravano su due piani tutto intorno al palcoscenico. I biglietti per quel concerto erano esauriti già da tempo, ma una piccola folla, ordinata in fila indiana, aspettava pazientemente davanti alla biglietteria nel caso qualcuno non si fosse presentato o nella speranza che, facendo uno strappo alla regola, la direzione ammettesse anche posti in piedi. In città non si era mai visto niente di simile: persone di tutte le età, dai bambini agli anziani, venuti da ogni dove per ascoltare lei, e solo lei, vera stella di quell’evento. Dietro le quinte il presentatore nervoso percorreva avanti e indietro a grandi passi il palco in tutta la sua lunghezza aprendo, di tanto in tanto, piccoli spiragli nel sipario da dove spiava gruppi sempre più numerosi di persone prendere posto in platea e sistemarsi nei palchi già tutti occupati, eccezion fatta per quello d’onore, riservato alle autorità, che a loro volta si riservavano il diritto di arrivare all’ultimo minuto. Il povero presentatore aveva anche un altro motivo per essere nervoso: la star della serata non era ancora arrivata. Dietro le quinte fervevano gli ultimi preparativi. Ogni solista accordava o provava il proprio strumento e la piccola orchestra, sistemata sopra un palco rialzato sul lato sinistro del palcoscenico, rivedeva per l’ennesima volta la scaletta dei brani in programma. Poi, finalmente, lei arrivò. Sembrava ancora più minuta, infagottata nel cappotto che le arrivava fino ai piedi mentre un berretto di lana copriva i capelli biondo rame. Era accompagnata come sempre dalla sorella, che oltre ad essere sua manager era anche la sua migliore amica e confidente. Quando entrò nei camerini il suo ingresso fu seguito da un attimo di silenzio, poi l’intero gruppo di artisti la accolse con un collettivo respiro di sollievo e qualche risatina nervosa. Il tempo stringeva e l’ora di inizio dello spettacolo era ormai passata da un pezzo, ma visto che gli spettatori erano ancora intenti a sistemarsi all’interno del teatro nessuno fece caso a quel ritardo. Il presentatore sbirciò ancora una volta la sala dal sipario chiuso; tutti erano seduti ai loro posti e il teatro risuonava di quel brusio tipico dei posti affollati fatto di cappotti che si piegano, scarpe che strusciano sul pavimento, voci che si rincorrono e mani che rovistano nelle borsette. Le luci si affievolirono, poi si spensero per tre volte annunciando l’inizio imminente dello spettacolo. Il brusio si attenuò. Poi il buio. E insieme al buio calò anche il silenzio. In quell’interminabile minuto che impiegò il sipario ad alzarsi, la sala rimase immersa nell’oscurità rischiarata solamente dalle lucine poste in terra lungo il corridoio e dalle luci verde sbiadito delle uscite di sicurezza. Poi, un occhio di bue la illuminò: ed eccola lì, quella bambina prodigio di soli dieci anni, in piedi compita al centro del palco, con in mano il suo strumento, un fiocco blu a scostare dal volto i lunghi capelli e un vestito bianco che sembrava una nuvola vaporosa.
Il presentatore non fece alcun annuncio, lei non aveva bisogno di presentazioni; la sua musica, il suo talento e la sua giovane età l’avevano resa famosa in tutto il mondo.
Fece un piccolo inchino al suo pubblico, si girò verso l’orchestra e con un cenno lieve del capo diede il segnale d’inizio. Gli orchestrali intonarono le note della sinfonia da lei stessa composta; alla quarta battuta la piccola sollevò il suo flauto traverso e iniziò anche lei a suonare. La melodia pervase la sala come una lieve brezza di primavera e come per magia sembrò risvegliare, in ognuno dei presenti, ricordi di giorni spensierati, echi di sogni mai abbandonati e speranze sopite. Era quello il vero segreto della sua musica. Per qualche strana ragione era come se quei dolci suoni, quel rincorrersi di note e pause e quegli accordi parlassero ai cuori di chi li ascoltava risvegliando emozioni, riaccendendo speranze e ridonando la voglia di vivere. Quella bambina, immersa nel cono di luce dell’occhio di bue, irradiava e illuminava con la luce della sua musica l’anima dei suoi ascoltatori. Poi, dolcemente come era iniziata la melodia terminò e quella lieve brezza cessò si soffiare sulla sala. Lei abbassò il suo flauto e volse lo sguardo all’orchestra mentre questa finiva di suonare gli accordi conclusivi della sinfonia. Poi, di nuovo, il silenzio. La piccola musicista, seria e compita, fece un inchino al suo pubblico; la luce si spense, la sala rimase al buio e in silenzio per qualche secondo; silenzio che fu infranto da un fragoroso e interminabile applauso.