Ritorno a casa (tratto da “Il peccato di Rennahel”) di Irma Panova Maino

Ren scrollò con decisione il trench di pelle, levandosi di dosso i fiocchi di neve che lo avevano ricoperto. Gettò l’indumento sullo schienale del divano, con la stessa imperturbabile noncuranza con cui si sbarazzava di qualsiasi cosa che ultimamente gli creava qualche fastidio. Da quando anche Tellera era uscita dal suo universo triste e depresso, lui si era totalmente rinchiuso nel proprio regno tetro ed aveva evitato qualsiasi contatto con i propri simili. D’altra parte non aveva nulla da condividere con nessuno di loro. Non con quelli appartenenti alla sua stessa casta.
Cosa doveva esprimere? Il tumulto che gli scuoteva l’anima? Le emozioni che tracimavano costantemente da ogni gesto, ogni parola?
Non era più in grado di controllarsi e nemmeno lo voleva.
E proprio a causa di questo, anche la rabbia era diventata evidente, l’ira con cui reagiva a qualsiasi sollecitazione, a qualsiasi frase equivoca o gesto male interpretato. Persino quel paio di richiami che aveva ricevuto da Sidel, alla fine lo avevano fatto sbottare, arrivando a minacciare apertamente il Ministro, rivolgendogli delle frasi che un altro, al posto suo, non si sarebbe mai sognato di pronunciare. Ed era un vero miracolo se nessuno aveva ancora pensato di prendere dei provvedimenti nei suoi confronti.
Gettò il trench sopra la spalliera del divano e sorrise amaramente a se stesso.
Il nome degli Unviel ancora una volta lo proteggeva dal proprio carattere irascibile.
L’infinito potere della sua casata aveva ancora un peso notevole sulle menti contorte dei suoi simili.
Si diresse a passi decisi verso lo studio e proprio prima di varcare la soglia si bloccò improvvisamente. Colse un odore anomalo nell’aria. Un sentore che troppo spesso aveva sognato di avvertire entrando in casa.
Scosse la testa con decisione. Le sue illusioni gli giocavano scherzi crudeli. Giocavano con i suoi sensi, creandogli delle speranze inutili.
Fece un altro passo in avanti e si bloccò di nuovo.
Eppure questo era reale. Troppo reale.
Si guardò intorno, cercando di capire se ci fosse qualcosa fuori posto, qualcosa che potesse segnalare un’intrusione. Ed il fatto che non vide nulla lo fece imprecare fra i denti. Doveva smetterla.
Non poteva continuare in quel modo, si stava facendo del male e torturare in questo modo l’anima rendeva ancora più cupo l’umore. Il Monitor…
Si volse di scatto verso il monitor. Era acceso. Impossibile.
Benché il computer fosse rimasto attivo, doveva già essere entrato in modalità stand-by da un pezzo ed il fatto che adesso il monitor proiettasse delle immagini, poteva solo voler dire che il mouse era stato mosso di recente.
Scrollò il capo ed inspirò scacciando la propria stupida speranza. Tuttavia i suoi piedi lo portarono in un’altra direzione. Istintivamente si mosse verso il corridoio dove aveva posto le proprie stanze.
Da quando Tellera era uscita dalla sua vita, aveva trasferito tutti i propri effetti nella zona che aveva ospitato Siria, cercando in questo modo di mantenere l’illusione di lei. Almeno di notte, quando spegneva la luce e si ritirava sotto le coperte, le quali erano state usate in precedenza da lei, poteva cercare d’immaginarla vicino a sé, da qualche parte in quel grande letto. La sua vampira…
Sorrise a quell’idea assurda. La sua vampira. Già, la sua vampira!
Il possesso con cui ripensò alla frase gli diede la giusta idea di quello che provava.
Arrivò davanti alla porta del salottino e sbirciò oltre, cercando di vedere uno scorcio della camera da letto. L’odore di lei aleggiava nell’aria, fresco come la neve che aveva lasciato fuori dalla porta di casa. Intenso come lo ricordava. Lei era lì.
Non era possibile altrimenti. Non poteva cogliere un effluvio così carico se non fosse stato lasciato di recente. Forse era già andata via.
Ren rimase fermo sulla soglia del salotto per un tempo che parve interminabile. La sua speranza era quella di trovarla nuovamente su quel letto, come la prima notte che l’aveva vista distesa sotto le lenzuola candide. E l’idea di disilludere quella speranza lo rendeva indeciso, gli straziava l’anima. Entrare e scoprire che aveva nuovamente sognato, era quasi peggio che rimanere là fermo, proiettando la mente verso un’ipotesi dolorosa, ma meravigliosa allo stesso tempo.
Alla fine si decise.
Varcò la soglia e si diresse verso la camera.