Master Dei di Regina Re

Se ne stava silenzioso alla sua scrivania. Quella mattina i corridoi erano disabitati.
Circa 30 minuti d’anticipo sull’orario d’entrata sono una gran conquista per chi vuole evitare il traffico della strada e dei corridoi. Le macchinette del caffè ad ogni piano erano come i caselli dell’autostrada. Era obbligato a fermarsi e a pagare, non per il caffè, ma per ogni “buongiorno” che era costretto ad elargire senza alcuna generosità.
Il caffè non lo beveva, per presa di posizione, per non mischiarsi con chi gli offriva una possibilità ogni mattina per scambiare quattro chiacchiere che poi sarebbero state tramutate in quattro frecce. Non quelle della macchina che varca il casello. Quelle che varcano i confini della sopportazione umanamente concessa.
“Non c’è amicizia intorno alla tua scrivania”, si ripeteva, ogni volta che rifiutava l’ennesimo invito.
Le possibilità le aveva scartate tutte e quindi aveva cestinato anche il caffè e la pausa pranzo. Possibilità che non erano per lui ma per altri. Momenti ludici per spezzare la triste quotidianità di chi si annoiava e aveva trovato in lui un gioco divertente da portare avanti. Un GdR, un Gioco di Ruolo che dal tavolo si era spostato nel vivo delle coscienze senza nome ma con mille facce.
Chi avesse posseduto una quantità discreta di coscienza, si sarebbe rifiutato di giocare e si sarebbe opposto alle regole dettate dal Game Master. Ma nessuno ne aveva più di coscienza. Tranne lui.
L’ambiente immaginario, le schede personaggio erano tutte studiate di modo che Alex avrebbe avuto un solo ruolo: quello di chi doveva essere fatto fuori dal gruppo.
Era lì da 30 minuti a ripercorrere la storia delle sessioni di gioco che si svolgevano da un paio di anni ormai.
Ci si era trovato per caso ed il caso, in questi casi, è sempre uno sbaglio.
Aveva accettato l’invito per un caffè, dopo la pausa pranzo.
Era nuovo in quell’azienda e gli era sembrato un buon modo per socializzare.
Aveva accettato l’invito da una delle pedine del Master.
In pochi minuti al Master erano arrivati i suoi dati e Alex, non appena tornato alla sua postazione, aveva ricevuto una mail. Il mittente era semplicemente: “Master”.
Aveva aperto pensando che fossero le solite password dell’I.T.
Si era trovato davanti ad uno schermo nero con una scritta rossa al centro: “Security Instruction”.
Aveva cliccato sulla scritta convinto che fosse una maniera originale per istruire il personale nuovo e non si era minimamente reso conto di aver varcato la porta dell’inferno.
Del resto la vita è un gioco manovrato dall’alto e che differenza volete che faccia un gioco manovrato dal basso?
Il basso di un edificio che non è abbastanza alto per sfiorare il primo strato di cielo ma che dona ai suoi abitanti la continua promessa di arrivarci.
Alex aveva giocato la sua prima partita tra applausi e sorrisi e aveva preso i suoi punti guadagnati con di gioco.
Il gioco consisteva nel far fuori un dipendente a caso scelto dal Game Master.
Si era anche divertito a seguire le istruzioni: “Stampa l’allegato che hai appena ricevuto da Drago 7, Recati presso l’ufficio B16 , 3’ piano e consegnalo dicendo che il documento te lo ha appena consegnato l’autore stesso!”.
Soltanto il giorno dopo era stato chiamato dai piani alti e aveva ricevuto una promozione accompagnata da un cerimoniale di elogi per aver consegnato un documento che incastrava l’autore stesso. Era un falso e lui lo aveva capito soltanto quando gli era stato detto: “Non vogliamo neanche sapere come ci sei arrivato. Ciò denota una grande intelligenza e una devozione particolare alla tua azienda”.
Stordito era tornato al suo posto. Una nuova mail, nuove istruzioni, un nuovo nome, un nuovo bersaglio. Da quel momento aveva cominciato a cestinare le mail ma lo schermo continuava ad aprirsi e richiedeva di cliccare sulle Istruzioni. Pertanto aveva pensato di ingannare il Master e aveva cominciato a far finta di giocare. Ma alla fine di ogni partita veniva chiamato a fare i conti con qualche pedina.
Aveva stravolto le regole, aveva creato un nuovo gioco dove ogni giocatore ormai riceveva soltanto il suo nome.
L’entità del miglioramento dei suoi personaggi era improntata su tattiche d’astuzia, l’unica arma pulita che gli veniva concessa dal Master.
Il Master offriva potenti mezzi ma in cambio voleva pezzi di cervello virtuale. Voleva sostituire le parti di cervello attivo con parti di cervello passivo. In cambio avrebbe dato dei bonus a seconda dell’ambientazione del giorno: fiaccole, clave, lance, coltelli, sassi, fucili, pistole, mitra, veleni, bombe.
Ma lui i bonus non li aveva mai accettati.
Erano passati due anni e in due anni aveva superato il limite, era sopravvissuto a tutti i tranelli, aveva superato impossibili livelli.
Quel giorno era lì a studiare. Avrebbe voluto un’arma invincibile per abbattere il cervello che governava quel gioco, per dar fuoco ad Outlook e a tutte le macchinette del caffè e a quella fottuta sala mensa dove nel vassoio ti servivano trappole per primo, secondo e contorno. Al dolce Alex stava già vomitando e la bottiglietta dell’acqua se la conservava sempre per il dopo.
Mail. Nuovo messaggio. Ore 08.30. Prima nessuno era abilitato a giocare.
Apri. Schermo nero ed una scritta “Canteen”. Entra. Altra scritta: “Menu”. Si ricordò di quella volta, circa due anni prima, mentre andava a mensa e un tizio gli aveva chiesto in Inglese “I’m sorry, where is the canteen?”. Forse l’emozione, aveva capito “cantina” e gli aveva indicato un ristorante che aveva una cantina e che si trovava proprio nella zona industriale.
La barra menu aveva una sola opzione.
Aveva cliccato e si era trovato una scala in 3D, nella penombra era apparsa una busta che conteneva le Istruzioni.
L’aveva aperta.
Un solo imperativo: “Go down stairs”.
Era sceso e alla fine della scala aveva trovato una scrivania ed un PC.
Il PC era in Stand by.
Aveva mosso il mouse e si era trovato lo schermo nero con al centro una scritta rossa:
“Welcome to the Mob Island”.
Una risata era schizzata fuori dal PC e si era piantata proprio lì, sulle sue labbra.