Moon River di Andrea Mazzolini

Non avevo neppure quattordici anni ma già avevo le idee molto chiare sul mio futuro, forse anche troppo. Da grande sarei diventato un ingegnere. Il problema è che non sapevo bene cosa facesse un ingegnere. Non conoscevo nessuno con quella qualifica. Nessuno in famiglia aveva mai fatto studi universitari e tutta la parentela considerava uno dei miei cugini praticamente un genio perché si era diplomato in ragioneria. Ma avevo sentito dire che fare l’ingegnere era un mestiere prestigioso e che si guadagnava bene. Ecco il modo giusto per ricompensare i sacrifici dei miei genitori. Tanto la matematica non mi creava nessuna difficoltà, anzi. Gli esercizi e i problemi che mi davano a scuola mi sembravano terribilmente semplici, come fossero dei giochetti banali e insignificanti. Certo, suonare mi piaceva molto di più della matematica ma non c’erano soldi per frequentare una scuola di musica. Pazienza. Sarei diventato un ingegnere, un grande ingegnere e allora finalmente mi sarei comprato un pianoforte. Passarono gli anni, anche troppo in fretta. Il liceo prima e la facoltà di ingegneria poi, sempre più tempo sulle dispense da studiare e sempre meno tempo per la musica, per leggere i miei amati libri e per gli amici. Una brillante laurea con lode e via a lavorare. E cosa vorrai fare dopo che ti sei laureato e hai appena iniziato a lavorare? Mica vorrai riprendere in mano le vecchie passioni, sarà pure arrivato il momento di diventare grandi, di sposarsi e avere dei figli? E mica vorrai fare il semplice impiegato ora che sei laureato? Dovrai pure darti da fare, girare per il mondo, farti una carriera. Ed io lì, sempre a fare quello che piaceva agli altri o quello che gli altri pensavano mi dovesse piacere per forza. Mica potevo dire: fermi tutti, fermate il mondo, lo so, bisogna guadagnarsi da vivere ma io non sono realizzato in questo modo. Volevo altro ma quello che volevo era stato nascosto dietro felici apparenze. Conoscevo il mio lato oscuro ma facevo finta che non esistesse.
Facevo finta di essere felice.
Ora l’ho capito, ho buttato via molti anni a fare quello che gli altri si aspettavano da me e non quello che veramente desiderato.
Ed eccomi qui, molti anni dopo, un matrimonio alle spalle e un lavoro che non ha dato le soddisfazioni sperate. Dovrei essere triste per tutto questo, tremendamente triste, e a volte lo sono. Invece sono sostanzialmente sereno. Godo di buona salute, ho i miei figli e non è poco. Non ho ancora un pianoforte per me, mi devo ancora comprare casa e alla mia età non riuscirò più a suonare il volo del calabrone. Ma piano piano ho scoperto nuove passioni. Ballare, scrivere sciocche storie d’amore, qualche sonetto, fare nuove amicizie, sognare. Che cosa sogno? Avete presente Colazione da Tiffany, quando Holly suona la chitarra e canta Moon River sotto gli occhi stupiti dell’amico Paul? Ecco, il dreammaker sono io. Se conoscete Holly ed è abbastanza folle, vi prego, dategli il mio indirizzo.