Luce di lampioni (quella fioca, che lascia quasi oscura la strada) di Andrea Borrelli

Era steso sul letto ancora a pensare. Fu spaventato da un tristissimo rumore di aspirapolvere, assordante e si alzò a malincuore. Si sentiva strano, quella cosa non che fosse tanto buona, e non ricordava più ciò a cui stava pensando prima sul letto. E non gli tornava proprio in mente e pensava di essere pazzo a torturarsi così. La sua paura era di non ricordarsi più niente. E più si sforzava di ricordare e più dimenticava. Pensò di continuare a dormire ma la paura di non riuscirci e lo sforzo perverso dei suoi pensieri, gli permisero un salto d’orgoglio e di avvicinarsi al frigorifero. Ebbe come un sussulto, quasi per svenire, accorgendosi che il latte era finito e sarebbe dovuto uscire per andare a comprarlo. Sembrava che le sue ossa fossero state ridotte in piccolissimi pezzi. In effetti ieri sera, pensava, ho esagerato con quella roba: “Ne ho presa troppa, basta devo smettere, mai più, mai più Zio”.
E continuava con le sue paranoie.
Si sarebbe dovuto vestire, ormai non ce la faceva più, la testa sembrava scoppiarli. Sarebbe diventato un pezzettino infinitesimale di mondo, non erano il caos e il traffico a spaventarlo, ma doversi confrontare e reagire alla gente. Combinarsi con le ombre sulla strada, e la sua, interagire e proprio non ce la faceva. Era davvero troppo per la psicosi di quel freddo e inutile giorno. Non pensava di poter risolvere il problema ma fu spaventato dall’idea di non trovare la forza per scendere e di rimanere in casa a pensare. I suoi occhi continuavano a fissare il letto vuoto. Si rese presto conto di quanta luce potessero fare le pupille dilatate nel buio e vinta la paura di non essere pigro, quello fu l’ultimo pensiero prima di uscire di casa. Decise bene di farsi un bicchiere di qualunque cosa avesse trovato in casa, così per darsi meglio coraggio. Cominciò allora a pensare di essere fatto di nuovo e fu subito tranquillo. Arrivato in strada sembrava che levitasse da terra direttamente verso il supermercato, continuava a ruotare la testa e sorridere. La compagnia in strada lo divertiva, e l’aria sembrava andargli contro in cenno di sfida, arrossandogli le guance. Per un attimo perse anche il senso dell’orientamento, e irrigidendo lo sguardo verso uno squarcio nel cielo provocato da un lampo di luce dietro una nuvola viola, si fermò. L’immagine che aveva nella sua testa era un tripudio di colori, affiancati ad emozioni ancora più dense e la mente associò tutto ad un bellissimo quadro. Sorpreso vedeva la gente passare e non accorgersi di tanta bellezza e ne rimaneva scioccato. Nel ventre della sua ragione allora cominciò a discutere con l’artista. Cominciò a credere a quello che i suoi pensieri tentavano di alludere ma andò avanti. La felicità dell’osservatore dietro quell’atmosfera fredda del raggio di sole aveva dato corposità a qualcosa di impalpabile così come il pittore cerca sulla sua tela. Adesso non c’era più nessuna differenza. Nella sua testa rimbombava la voce di una follia presto imminente se non avesse smesso, ora. Correva lungo il marciapiede e dimenticò di essere uscito per ben altri motivi. Per recuperare il tempo perduto decise di accelerare il passo spento ormai dalle troppe sigarette accese. La voce continuava a perseguitarlo per le vie marmorizzate dai vari spot pubblicitari sparsi ovunque. Sentiva le urla delle persone e i canti dei commercianti d’amore, così vedeva i proprietari dei negozi sulla strada, poveri di clienti. E si sentiva come dentro a una grande commedia, dove il buffone impaurito cerca di correre via dal palco, agitando frettolosamente le gambe sulla strada … ma prima un inchino verso il pubblico e un cenno di resa con la consapevolezza di non essere stato capito. Considerava la realtà attorno a sé tutta finta, e lui poco attore finitoci dentro per caso. Via d’uscita, l’entrata del negozio, fuori il mondo come un teatro. I sorrisi melanconici lasciati alle spalle. E pensava a tutti quelli che riversano i propri mali negli altrui per allontanarsi dalla propria tristezza. Nel finale sembrava solo annuire al pubblico e dare il consenso alle sue risa. Le abitudini, era di quello che si trattava. Non facevano per lui e lui era esattamente quello che stava facendo in questo momento. Scendere di casa e andare a fare la spesa, riempire le buste di plastica e pagare la cassiera, per poi tornare a casa e conservare lo scontrino nella lista spese. Allora stette al gioco di ciò che la sua mente gli suggeriva. Divenne partecipe di un’ opera qualunque, ma solo come osservatore non protagonista. Come se fosse semplice soffrire come facevano i protagonisti delle storie che andavano in scena fra un bancone di frutta e dietro una cassa di pesce fresco. Non conosceva nessuna di quelle persone, come faceva a sapere quali potessero essere i loro mali. Uscì dal negozio e decise ancora di smettere di pensare e tornare di corsa a casa. Ma ricominciò a passo lento, così da essere superato da tanta di quella gente che ormai aveva perso il conto. Allora decise di guardarli tutti negli occhi, per capire e conoscere le loro sofferenze, dove c’erano. I loro comportamenti, lo stile di vita o cosa provassero in quel momento alla fine interessava poco. Li guardava per guarire se stesso e non se accorgeva. Il dolore come gran varietà la sera in televisione che blocca davanti allo schermo milioni di persone. Era così che la gente normale guariva. Allora continuò a camminare , percorrendo il bordo del marciapiede a curare la realtà come finzione. E proprio in quel momento successe ancora. Stava rientrando ma la luce fioca dei lampioni lo colpì nuovamente come poco prima. Ancora un attimo di piacere e ancora risa. In ogni modo era contento.