L’assedio più lungo di Oliviero Angelo Fuina

Nuova mi appare la costa sassosa
d’arida terra dagli alberi spogli
dai forti venti marini, svestiti
e l’orizzonte dei miei chiari monti
stagliati nel cielo color del mare
d’Itaca sono e più non conosco.

Di Patria è mendace il mio ricordo:
è forse questa un’isola spersa
nell’acque per decenni che ho solcato?
(Mai fidarsi dei marinai feaci
forse golosi dei doni d’Alcinoo).

Sono partito con manto regale
faccio ritorno di stracci vestito,
mendicante, nell’usurpata casa,
di quei vent’anni rubati da guerra
perdendo donna nel dubbio che sale
per la vittoria di noi tutti achei.

Qual è l’onore da Elena perso?
Per quanti lutti nel gioco di dei
ho perso figlio nei verdi suoi anni?

Mai la realtà si confronti col sogno
quando al risveglio ti trovi privato
di tutta una vita per mari persa
da riafferrare con mano straniera
ancora usando quest’arma d’imbroglio.

Lo sconosciuto Telemaco figlio
conosce l’ordito del mio inganno
la sempre amata Penelope sposa
tengo a distanza nel fingermi altro.

È vento di sale che bagna le gote
o nel mio cuor si rivela dolore
per un ritorno a lungo sognato
e ritrovarmi da lei più distante?

Come mai un bagliore di sospetto
non rischiara stracci da mendicante,
nella mia taciturna Penelope,
da palesarle presenza di sposo
spazzando nubi inquiete timorose?

[“Perché si rivela a tutti e non a me
l’agognato sovrano nel ritorno?
È forse sol maschile la vendetta
O la fiducia s’è persa fra i mari?

Nell’incredulità, implacabile,
ostenterò inquietudine tacendo.
Non posso perdonargli l’abbandono,
m’assistano gli dei nella schermaglia
testimoni del mio risentimento”]

Antioco dei Proci, la fiera più scaltra,
sguardo le intreccia, talamo mirando
e la mia sposa, pur sempre una donna,
nel desiderio, annega il rimpianto?

Dodici cerchi la freccia trapassa
le sue sorelle mutilano membra,
lavano ancelle quell’immondo sangue
ma del mio regno non sono padrone
se mi rifiuta, Penelope, sguardi.

Torto ha subito, da mia dipartita
seguendo l’onda dei miti immortali,
m’aspetta ancora l’assedio più lungo
per conquistare fiducia e il suo cuore
varcando porte da lei spalancate.

È vana la mia celebrata astuzia
se non può far breccia nelle sue mura,
mi spoglio, di eroe, delle mie gesta
stivali d’avventura getto al vento
per consegnarmi ancora il suo re scalzo.