Verso l’Abisso di Luigi Bonzanini

Il giovine ed aitante marchese Vitellozzo Della Rogna si rimirò per l’ennesima volta nel grande specchio che troneggiava nel suo salotto privato e non poté frenare un moto di compiacimento contemplando l’immagine elegante,sobria e virile che il cristallo gli rimandava. Scrutando il proprio volto affilato, la fronte ampia e pensosa, gli occhi grigi ed a tratti balenanti come schegge d’acciaio, non poté trattenere un moto quasi fanciullesco di legittimo orgoglio: ” Bello!… Quanto sei bello! ” sussurrò con la sua voce suadente e vellutata rivolto al baldo giovane che lo fissava dalle profondità dello specchio. D’un tratto, il sorriso vago ed ingenuo che indugiava sulle labbra di corallo dell’aitante Vitellozzo si mutò in un’espressione pensosa ed assorta: egli meditava ora sulle alterne vicende dell’umano destino e niuna forza al mondo, lo sapeva ormai per esperienza, avrebbe potuto distrarlo dalla sua meditazione solitaria e malinconica che a tratti si impossessava di lui estraniandolo dal mondo anche per ore ed addirittura giorni.

” Ma che cos’è mai questa mia povera vita, a paragone dell’eternità?… ” mormorò fra sé e sé. ” E’ vero: sono bello, raffinato, colto, ricco, intelligente; le donne mi rincorrono, gli uomini sbavano d’invidia, ma a che vale questa mia esistenza che si trascina annoiata fra gli agi, le mollezze e le orgie sfrenate?… Forse null’altro che un sogno vano! ” Proprio in quel punto, comparve sulla soglia la pallida ed emaciata figura del vecchio maggiordomo Calogero. Vitellozzo si volse a fissarlo con occhi di brace e, con gelida calma, lo redarguì:

” Che vuoi, vile bifolco?… Non vedi che sono assorto nei miei malinconici pensieri?! ” Il vecchio e smunto Calogero fissò a sua volta Vitellozzo strabuzzando gli occhi e, con un sorriso spettrale, rispose esitante: ” Venivo a riferire che il suo eccellente padre, il marchese Callisto Della Rogna, l’attende con ansia malcelata nella serra per colloquiare con lei di cose intime e segretissime. Se ho fallato, mi punisca pure, signorino Vitellozzo, ma sia indulgente con questo vecchio canuto ed un po’ rincoglionito sulle cui ginocchia ella ha giocato da piccino!… “

Udendo queste parole oneste e sincere, sgorgate dall’intimo del tremulo vegliardo, Vitellozzo non poté trattenere un moto di disappunto. Corse verso il saggio Calogero e lo strinse forte al proprio petto esclamando:

“Vecchio, dolce, caro e rimbambito Calogero, come ho potuto dubitare della tua rettitudine?! Orsù, abbracciami! “

Entrambi commossi il vecchio smunto e l’aitante giovane s’abbandonarono ad un lungo e tenero abbraccio, finché una lacrima solitaria spuntò sul ciglio del venerando vecchio.

*

Dopo aver lasciato il fido maggiordomo ad asciugarsi i lucciconi che gli brillavano negli occhi stanchi, il giovane e fiero Vitellozzo s’avviò, camminando rapido e sicuro sulle uova come aveva appreso a fare fin da piccino, verso la serra. Traversò con inquietudine mista ad un vago scoramento molte sfarzose stanze dell’avita dimora finché, trepidante e trafelato giunse nell’immensa serra dove il padre Callisto lo attendeva. Costui, uomo di rude stampo, piccolo di statura, calvo, rincagnato e notoriamente irascibile, vedendo il figlio appressarsi con tanta sollecitudine si volse di scatto e lo fissò a lungo con i suoi freddi occhi cerulei. Intimorito da quello sguardo d’acciaio, Vitellozzo indietreggiò d’un passo, ma subito il marchese Callisto gli tese le braccia e mormorò con voce resa stentorea dall’emozione:

” Figlio mio, vieni fra le mie braccia!… “

Colto da una gioia subitanea, Vitellozzo si precipitò fra le braccia del padre gridando:

” Babbo!…Oh, babbo mio!…”

” Figlio, io ti riveggo ancora; ma come ti sei smagrito dall’ultimo nostro incontro! “

” Babbo caro, ci siamo lasciati soltanto iersera e già mi rimproveri di trascurarti?!… “

” Figlio diletto, la lontananza, sai, è come il vento: spegne i fuochi piccoli, ma accende quelli grandi! “

” E’ vero, babbo caro!… Hai ragione come sempre! “

Il vecchio ed indomito marchese fece assidere Vitellozzo su di un divano foderato di seta turchina e lo squadrò a lungo, senza più proferire verbo alcuno. Poi, con uno scatto subitaneo, gli afferrò le mani e disse:

” Figliolo caro, prole dei miei lombi, debbo darti una notizia che ti farà felice: domani sposerai la contessina Amarilli Degli Albigesi! “

Il volto di Vitellozzo si fece terreo; dalle labbra illividite a stento gli uscì un flebile lamento:

” Ma, caro babbo, io non l’amo!…”

” E perché?!…” Chiese il venerando padre, rabbuiandosi di colpo.

Sempre più confuso e stordito, il giovane rispose:

” Ma, caro ed amato babbo mio, la contessina ha la gobba!…”

” E a te cosa te ne cale?!… Ella è immensamente ricca e di nobile lignaggio! “

Vitellozzo  cominciò ad annaspare sentendosi venire meno l’animo già provato dal recente incontro con Calogero.

” Babbo mio, costei sarà anche ricca, ma ho sentito mormorare che soffre pure di alitosi e meteorismo!…”

” Sciocchezze!… Pettegolezzi di gente plebea. Ascolta la voce del sangue e mostrati degno di cotanto padre!… Ricorda le glorie della nostra stirpe!… “

Qui il truculento vegliardo s’arrestò di botto avvedendosi che Vitellozzo, bianco come un cadavere, era caduto riverso sui cuscini del divano e non dava più segno di vita. Sorpreso e deluso, il marchese Callisto prese a schiaffeggiare sonoramente e sistematicamente le guance esangui del figlio finché un flebile gemito gli dischiuse nuovamente le labbra:

” No!…La gobba no!!!… “

” E ché, figliolo caro, vorresti dunque lasciar morire il tuo vecchio genitore nella più nera indigenza?! “

” Ma babbo, tu sei ricco da fare schifo!… “

” Non più, pargolo mio, non più!… ” E qui il vecchio trasse un sospiro cavernoso. ” Sappi dunque il vero: noi siamo rovinati!… “

” Che odono le mie orecchie!…”

” Ahimè, il vizio del gioco mi ha trascinato a questo: devo sacrificare il mio diletto figlio per salvarmi dalla galera. Altre alternative non ho se non quella di ficcarmi una palla nel cervello!… “

” Non sarebbe poi un’idea malvagia!… “

” O serpe ingrata, dovrò dunque morire per muovere a compassione il tuo cuore di pietra?!… Che cosa ti chiedo in fondo?… Soltanto d’impalmare una dolce e pia creatura forse non perfetta esteriormente, ma certo bellissima dentro. “

” E ché, le hai fatto dunque una radiografia?… “

Udendo quest’oziosa domanda, il volto del marchese Callisto si fece di brace per la collera. Puntò l’indice della sua scarna ed eburnea mano verso il tristo figliolo e proferì queste tremende parole:

” Odi, Vitellozzo!… Odi e trema!… Se non sposerai la gobba, la maledizione di tuo padre colpirà te e tutta la tua progenie fino alla quarta generazione! Osi ancora ribellarti?… “

Annichilito e ferito nell’imo del cuore, il misero giovane non poté far altro che assentire:

” Ebbene, sposerò la gobba!… “

Dopodiché svenne per la seconda volta.

*

Fu così che quella stessa sera, il livido e tremante Vitellozzo, anche se sorretto dal fido Calogero, dovette affrontare il primo abboccamento con la contessina Amarilli Degli Albigesi, venuta in visita a palazzo con la di lei madre contessa Cunegonda onde definire i dettagli degli sponsali. In effetti, la fanciulla non si poteva definire proprio una bellezza: alta un metro e cinquanta, anoressica e distrofica, oltre che di una scoliosi assai pronunziata soffriva visibilmente di strabismo e di un’incipiente alopecia. All’opposto, la contessa Cunegonda apparve agli occhi del misero giovane come una matrona bulimica ed ansimante che subito gli si gettò addosso piena d’entusiasmo e volle ad ogni costo abbracciarlo e baciarlo sulla bocca riversandogli in faccia un alito simile ai miasmi delle fogne di Calcutta. Vitellozzo si sentì venir meno e le ginocchia gli si piegarono; valse a salvarlo dal crollo fatale soltanto la stretta dell’ indefesso Calogero che, ancora commosso per le effusioni del mattino, frenava tuttora a stento le lacrime ed ogni tanto mormorava fra sé:

” O rimembranze!… “

Sfoderando in un truculento sorriso gli ultimi dieci denti che le restavano in bocca, la contessa madre spinse innanzi con un gesto pieno di grazia la figliola e, con voce colma di materno orgoglio, dichiarò:

” Ecco la mia piccina!… La mia asinella adorata! “

Era infatti cosa risaputa che la dolce Amarilli univa alle scarse doti fisiche un’intelligenza anche più scarsa: in pratica era una mezza scema. E tuttavia, quale soave espressione di gaudio illuminò il volto della poverina appena ch’ebbe adocchiato Vitellozzo: strabuzzando gli occhi dietro le spesse lenti correttive, dalle sue labbra minute scaturì un grido spontaneo:

” Ih, ih, ih, ih!!!… “

Udendo quella risata sinistra, lo sventurato marchese barcollò per l’ennesima volta e, ancora una volta, l’onnipresente Calogero provvide a sorreggerlo. Pallido come un morto, Vitellozzo trovò comunque la forza d’animo bastante a fare gli onori di casa: fece sedere le due dame ad un prezioso tavolo d’ebano intarsiato ed ordinò con voce stentorea che fosse servito l’apéritif avec des bonbons. Il solerte e mesto Calogero, non molto ferrato in francese, rimase immoto a fissarlo con un’espressione assorta da baccalà. Imbarazzato e con i nervi a fior di pelle, Vitellozzo ripeté l’ordine:

” Calogero, l’aperitif avec les bonbons!… “

Sul ciglio di Calogero spuntò un’altra lacrima furtiva mentre il poverino, paonazzo di vergogna, restava immobile senza saper che pesce pigliare. La contessa Cunegonda, piuttosto scocciata, non perse l’occasione d’interloquire:

” Ma dove l’avete trovato quel pesce lesso di maggiordomo!… Mio Dio, in che casa sono capitata! “

Subito Amarilli le fece eco con la sua risata cavallina:

” Ih, ih, ih, ih!!!… “

Colmo d’ira e di frustrazione, Vitellozzo sbraitò alla volta di Calogero:

” Imbecille, gli aperitivi con i dolci!!!… Cosa aspetti, una richiesta scritta?!… “

Basito ed umiliato, il vecchio servo fedele chinò il capo e scappò via dalla sala guaendo come un cane bastonato.

Dopo questa scena penosa, Vitellozzo affrontò l’immane sforzo di mostrarsi cortese con le ospiti: atteggiò il viso ad un piacevole sorriso che in realtà si rivelò un ghigno deforme e si rivolse alla sua promessa sposa con una domanda originalissima:

” E che fa di bello la signorina, studia?… “

” Ih, ih, ih, ih!!!.. “

La vecchia Cunegonda, rispose facendo le veci della figlia:

” Studiare?… No, non studia. Però ci sono fior di professori che studiano lei. “

” E perché mai?… ” chiese il giovane Della Rogna, incuriosito. L’ombra di un ricordo penoso passò sulla faccia spettrale della contessa.

” È giusto che lei sappia!… Questo mio bocciolo di rosa, alla tenera età di dieci anni cadde per disgrazia nella concimaia della nostra tenuta di campagna e vi rimase per un giorno ed una notte in compagnia dei maiali prima che la ritrovassimo. Da allora, il trauma subito l’ha resa praticamente muta e sorda. Ancora non s’è trovata una cura adeguata. Capisce ora, marchese, quale strazio lacera questo mio cuore di madre?!… “

” Capisco, capisco! E avete già pensato ad una località per il viaggio di nozze? “

” Se a lei va bene, avremmo già deciso per Lourdes. Naturalmente io verrò con voi!  “

” Che bello… ” balbettò Vitellozzo che improvvisamente provava un bisogno impellente di vomitare.

Riapparve il tremulo Calogero, con gli occhi rossi di pianto, recando un vassoio d’argento sul quale faceva bella mostra di sé un grosso zampone modenese ancora fumante con contorno di lenticchie. Vedendolo, Amarilli, entusiasta, prese a battere le manine ed a squittire come una pantegana:

” Ih, ih,ih, uh,uh,uh,!!!… “

Vitellozzo, furibondo, si rivolse al mesto Calogero sbraitando:

” Deficiente, che cosa ci hai portato?!… “

Confuso e tremante, Calogero non riuscì a far altro che balbettare:

” O marchesino, perdoni questo vecchio stolto. Se ho fallato mi punisca, ma sia indulgente verso questa mia vetusta canizie. Pensi al tempo felice della sua infanzia quand’ella giocava beato sulle mie ginocchia!… “

” Calogero, che ti pigli un accidente, a te ed alla tua canizie!  “

Ancora una volta la contessa s’intromise nella discussione:

” Ma non fa nulla!… Anzi, io e la mia frugoletta avevamo giusto voglia di zampone con le lenticchie!… Lei permette, nevvero, marchese?… “

Senza nemmeno aspettare una risposta, la contessa afferrò lo zampone con le mani nude e prese a divorarlo strappandone grossi bocconi con i dieci denti che le restavano in bocca. Nel giro di pochi minuti lo zampone era già scomparso nel poderoso stomaco della vecchia che, una volta placata la fame, si rivolse con garbo alla figliola:

” Suvvia, cara. Mangiati pure le lenticchie. Tu devi badare alla linea e mantenerti snella per il tuo futuro sposo! “

Senza farselo ripetere due volte, Amarilli afferrò il vassoio e prese a leccare le lenticchie direttamente dal fondo, sbrodolandosi tutto il leggero vestito di tulle che lasciava chiaramente intravedere la totale assenza di seni.

Una tale visione fu per Vitellozzo la mazzata finale. Lo sciagurato spalancò la bocca come per lasciarne uscire un grido disperato, ma non si udì invece alcun suono. Le pupille del giovane si arrovesciarono all’indietro, egli s’accasciò esanime sulla sedia e svenne per la terza volta nello stesso giorno.

*

Un mesto epilogo

Circa due mesi dopo, in una solare mattina di primavera, la lussuosa vettura del vecchio marchese Callisto Della Rogna correva speditamente lungo una strada di campagna costeggiata di platani in piena fioritura. Curvo e terribilmente corrucciato, il Della Rogna se ne stava rincantucciato in un angolo del sedile posteriore foderato di pelle di leopardo. La macchina avanzò a lungo per tornanti polverosi finché si fermò davanti al cancello di un’amena villa campestre che una targa di bronzo incastrata nel muro di cinta identificava come Villa Gaudiosa. Un autista compassato ed asettico aprì la portiera posteriore ed il marchese sgattaiolò fuori dall’auto. Suonò il campanello ed il cancello s’aprì con uno scatto secco. Callisto, sempre scuro in volto, s’incamminò a passo svelto lungo il sentiero alberato che correva in mezzo al grande giardino della villa. Un uomo in camice bianco gli venne incontro a braccia tese.

” Caro, caro marchese, quale gioia vederla qui!  “

Il marchese si lasciò abbracciare senza entusiasmo e, sempre corrucciato, sbottò:

” Esimio dottore, bando alle ciance. Sono qui per vederlo e rendermi conto del suo stato. Ci sono speranze?… “

Il celeberrimo dottor Magnapoco scosse mestamente la testa.

“Ahimè, egli non mostra alcuna volontà di guarire. Ma, caro amico, venga con me e constaterà lei stesso!  “

S’avviarono dunque i due vegliardi verso un angolo solitario del giardino popolato da strani personaggi dai visi inquietanti intenti alle più strane incombenze. Chi camminava sulle mani con le gambe all’aria, chi se ne stava disteso carponi abbaiando come un cane; chi, infine correva da un albero all’altro cercando vanamente d’afferrare i passeri al volo. Fra tutti quegli infelici, ecco infine l’aitante figura dello sfortunato Vitellozzo che se ne stava appollaiato sul ramo più basso d’un secolare abete, col bel viso ormai del tutto inespressivo rivolto al vaporoso orizzonte, scrutando con occhi vacui le nuvole migranti nel cielo turchese.

Il marchese Callisto s’appressò al figlio fin quasi a toccarlo e, con voce rotta dai singhiozzi, gemette:

” Vitellozzo, figlio mio adorato, non mi riconosci?… Sono il tuo babbo che tanto t’ama!. “

Il figlio parve non essersi nemmeno accorto della presenza del genitore e continuò impassibile a fissare l’orizzonte. Con un tono ancora più accorato il vecchio ripeté la domanda:

” Vitellozzo, non riconosci dunque più il tuo povero babbo?… “

Per un breve attimo il giovane parve destarsi dal suo torpore, gettò un’ occhiata in tralice al vecchio, scosse la testa come per destarsi da un sogno penoso e poi, di colpo, rispose con uno strano verso querulo:

“Ih, ih, ih, ih!!!…”