La sposa di Andrea Leonelli

I petali sanguinano sul pavimento lucido fino a essere quasi uno specchio, riflettendosi e moltiplicandosi, perdendosi in spazi aperti e vuoti.canstockphoto3991112
Entrando nella casa l’atmosfera è moderna e minimalista. Superfici piane, poche fotografie alle pareti: quasi lapidi in bianco e nero su arredamento e spazi altrettanto bianchi e neri. Pavimento, mobili e suppellettili, tutto un contrasto di positivo e negativo. In questa casa non c’è spazio per altro che non sia netto, delineato. Anche le linee della casa sono categoriche, dritte.
A terra una traccia di petali rossi. Come la scia lasciata da un ferito che sanguina, sono petali freschi, con il colore ancora vivo.
Quando saranno secchi diverranno neri, intonandosi al resto della casa.
I petali scarlatti guidano attraverso locali scarni, nudi, tutto in bianco e nero, bianco e nero, sempre e solo bianco e nero. Tutto: colonne, rivestimenti delle pareti, infissi, mobili.
Ossessivamente.
Ripetitivamente.
Esclusivamente.
Bianco e nero.
Seguendo la traccia rossa fino a una porta e fin dentro la camera da letto.
Vuota a eccezione del giaciglio di ferro battuto, le coperte candide.
La sposa, nel suo abito bianco giace sul letto. Bianco su bianco.
Anche in viso la ragazza mostra un pallore cadaverico. Quasi diafana. Morta.
Morta il giorno del matrimonio, o almeno così lascia intendere il vestito.
Il vestito che una donna si mette una sola volta. Una cosa definitiva.
E’ perfetta: una sposa rubata all’altare, strappata al percorrere la navata nelle sue scarpe nuove, candide, con l’acconciatura appena coperta da un velo finissimo. Le mani, curate, pronte a ricevere l’anello nuziale e ora appoggiate in grembo.
Unica nota di colore, stonato, un rossetto vermiglio, che risalta in tutto quel bianco come sangue sulla neve, come una ferita, uno strappo rosso al posto delle labbra.
L’espressione della donna è tranquilla, serena, sembra veramente che potesse dormire al momento della morte. C’è, sulle labbra artificialmente sanguigne, l’ombra di un sorriso, l’enigmatica espressione di Monna Lisa riportata in carne, morta, e ossa.
Silenziosamente, minuziosamente, quasi religiosamente raccolgo i petali: stonano adesso in questo ambiente bicolore.
Torno silenzioso sui miei passi.
Ho goduto della mia opera d’arte, la mia artistica costruzione. Il mio tocco da maestro è stata l’aggiunta della sposa morta e delle sue labbra. Ho affascinato me stesso con questa creazione di dolore non sofferto. Con questa composizione di cose morte in ambiente puro. Ho contaminato la bellezza con altra bellezza. L’incorruttibile con il decomposto.
Adesso per cancellare le mie tracce senza rovinare la mia creazione dovrò purificare tutto con il fuoco.
Ho già tutto predisposto, il gas, i timer, gli inneschi. Il materiale contenuto nella casa, le vernici, i mobili e quant’altro è contenuto fra queste mura, è infiammabile. Inferno controllato tramite telefono. Adesso uscirò, andandomene definitivamente. Chiudo la porta e come con la preghiera, trovo pace.