Inchiostro rosso di Maurizio Antinori

Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi.
Certo, sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta: prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola; scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate con tutto quello che si portano dietro.
E’ il potere della pagina bianca, credo.
Ti risucchia e ti libera: è la tua possibilità di buttarti da un’altra parte.
“Allora?” mi chiede il mio editore, accendendosi una sigaretta. Io non lo guardo. Sento il peso del suo sguardo mentre il fumo invade prepotentemente il vuoto dell’aria. Avrei voglia di fargliela mangiare, quella sigaretta.
“Possibile che la tua vena creativa si sia esaurita qui?” sbotta lui rompendo di nuovo l’imbarazzante silenzio del mutismo che mi ha colpito. Non parlo, ma se avessi penna e foglio scriverei quello che penso; il mio lavoro è scrivere, non parlare. Sento che è il mio momento. So che sta per nascere qualcosa. Sono pieno di idee; sono un vulcano di idee.
Intanto la stanza sta riempiendosi di parole e fumo. Non ascolto più. Parole e fumo.
Ma quanto parli? Scrivitelo da solo un romanzo, se hai tutte queste cose da dire. Mi scappa un sorriso e le parole svaniscono. Alzo lo sguardo e nella stanza c’è solo fumo. Il mio sorriso deve aver infastidito parecchio l’editore che è uscito dalla stanza sbattendo la porta. Questo fumo che galleggia mi fa pensare alle anime dannate. Chissà perché?
Devo aver visto qualcosa di simile in qualche film; o magari è così che le ho immaginate leggendo un libro. Questo rosso alle pareti; questa luce giallognola.
Mi piace.
Ecco, potrei iniziare a scrivere, ora. Ma non ho un foglio. Diavolo! Possibile che non ci sono fogli nello studio di un editore? Che assurda contraddizione.
Il fumo sta svanendo, e così anche la mia idea. Perché la devi scrivere subito; va colta al volo, l’idea; altrimenti sbiadisce e si confonde con nuovi pensieri che contaminano la scintilla che avrebbe acceso il fuoco. Fuoco e fumo.
Mi scappa un’altra risata. La mia testa è in continua fibrillazione. Ogni cosa che vedo, ascolto, respiro. Ogni cosa mi accende un’idea. E’ il mio momento e devo sbrigarmi.
Mi serve il foglio. Mi serve la pagina bianca. Forse dentro un cassetto della scrivania.
Tendo l’orecchio: niente.
Non voglio che l’editore mi trovi a frugare nella sua scrivania, ma ho bisogno di un foglio.
Sposto piano la sedia dove sono seduto e sento che il tappeto è dalla mia parte assorbendo eventuali rumori delle gambe.
Mi alzo piano.
Tendo l’orecchio: niente.
Respiro lentamente mentre la gola si restringe e il battito cardiaco aumenta di potenza rimbalzando nelle mie tempie.
Ma cosa mi prende?
Io voglio solo un foglio.
Controllo il respiro e ritrovo subito il controllo.
Faccio il giro della scrivania. Due cassetti si trovano sulla destra. Apro il primo, ma non si tira. Deve essere chiuso a chiave.
Provo con l’altro. E’ aperto. Bingo!
Prendo un po’ di fogli, chiudo il cassetto e torno a sedermi sulla sedia.
Ora ti faccio vedere io di che pasta sono fatto, quando rientri, caro il mio editore ti farò trovare l’incipit di una grande storia. Rimarrai senza fiato. Ti sbalordirò.

Fisso la pagina bianca. Lei fissa me. Stiamo stabilendo un contatto. Mi lascio trasportare. Ci siamo. Il bianco mi circonda.
Non ho bisogno della penna, qui; mi basta pensare. Muovere le mani, dare un calcio e tutto prenderà forma così come voglio.
Sono in una sorta di trance.
Il mio corpo è li fuori che scrive, ma io sono qui: nella pagina.
Sapevo che ci sarei riuscito. Lo sentivo.
Era da tanto che non provavo questa sensazione. La sensazione di fondermi con il foglio.
Ma ora basta, devo cominciare.
Ma?
Cosa è stato?
Sento dei passi. Deve essere lui che ritorna, ma non può proprio ora; non ho ancora finito.
Non bado a lui e comincio a dare forma ai miei pensieri.
La porta, che è alle mie spalle, si apre.
“Allora?” mi chiede di nuovo accendendosi un’altra sigaretta. Io continuo il mio lavoro; non voglio essere disturbato. Questa fase è la più importante non posso uscire dal foglio proprio ora.
“Ma che diavolo stai facendo?” mi apostrofa indicando il foglio.
Ancora non ho scritto niente. La sua presenza mi disturba, ma non voglio uscire da questo cazzo di foglio.
Sento che sto iniziando a sudare. Sono troppo nervoso. Non devo pensare a lui, non devo pensare a lui.
Gocce di sudore mi imperlano la fronte.
Non devo pensare a lui, non devo pensare a lui.
L’editore fa qualche passo verso di me.
“Vaffanculo!” urlo con tutta la rabbia che ho dentro e lo ripeto per tre volte urlando a squarciagola l’ultima vocale. Ma nella stanza non risuonano le mie parole. Le mie parole prendono forma sul foglio bianco.
La faccia dell’editore, che ha letto il foglio da sopra le mie spalle, è un misto di stupore e rabbia.
Mi rendo conto che non è l’incipit col quale avrei voluto meravigliarlo. Dopo un lungo attimo l’editore mi strappa il foglio da sotto mano.
“Ma dico, sei proprio impazzito?” mi dice fissando il foglio e senza rendersi conto che in realtà sta fissandomi negli occhi.
Il mio corpo non si muove ma io sostengo il suo sguardo.
“Tu devi farti vedere. Non stai bene. E invece di scrivere cazzate, vedi di buttare giù il romanzo prima della scadenza del contratto, o sono guai per te.”
Così dicendo prende il foglio con due mani e lo strappa una, due tre e più volte.
Il dolore è indescrivibile. Sento una lama che mi entra in testa per ogni strappo dell’editore alla pagina. Ho l’impressione che qualcuno abbia scoperchiato la mia calotta cranica e stia inzuppando biscotti nel mio cervello.
L’editore mi da una botta sulla spalla e il mio corpo, ormai privo di vita, cade inerme sulla scrivania.
“Ma che diavolo…?” non finisce la frase.
Sto morendo.
Tutto si sta spegnendo. Ma non posso fare a meno di ridere. Rido e mi chiedo se saprà mai spiegarsi, l’editore, quel rivolo blu che esce dalla mia bocca, e quel liquido rosso e appiccicoso che non smette di fuoriuscire dal foglio che ha strappato.