Libia, 1941 di Paolo Fiorino

Era una maledetta giornata in un deserto infernale e lui era agonizzante, intrappolato in un groviglio d’acciaio rovente che bruciava, nel bel mezzo di uno scontro tra corazzati. Del modesto carro Fiat M13 che aveva lanciato all’attacco sulle dune che circondavano Bengasi ormai era rimasta solo qualche tonnellata d’acciaio contorto, fuoco, sangue, fumo e rabbia, tanta rabbia per l’entusiasmo con cui si era lanciato in quella guerra, per le bugie del Duce che li mandava a morire senza equipaggiamenti adeguati, per le centinaia di cose che avrebbe potuto fare se la sua vita non avesse preso quella piega inaspettata. Con uno sforzo sovrumano si sollevò di quel tanto che bastava a gettare lo sguardo oltre lo squarcio nella corazza aperto dalla granata del Matilda che aveva centrato il suo carro e ucciso i suoi compagni. Lo vide, tra il fumo denso del carburante che bruciava. Il tank inglese era ancora lì, a pochi metri da lui, e ruotava la volata, indeciso se dare il colpo di grazia all’avversario agonizzante o risparmiare un proiettile per un uso migliore. Dopo qualche secondo il carro nemico arretrò.
– Maledetto! Mi lascia qui a morire – pensò, con delusione.
Un brontolio profondo richiamò la sua attenzione. Non poteva vederli, immobilizzato com’era, ma sentiva distintamente i motori di molti altri carri armati che si avvicinavano.
– Amici o nemici? – si domandò.
L’incendio divampava attorno a lui, il calore era diventato quasi insopportabile. La gola e gli occhi gli bruciavano per il fumo. Il fuoco avanzava rapidamente, come un predatore in cerca della sua vittima, e tra pochi istanti lo avrebbe avviluppato. Era la fine.
– Amici o nemici? – Si chiese di nuovo, tentando di ignorare il dolore atroce delle fiamme che cominciavano a consumare le sue carni. Ormai non aveva più importanza. Allungò la mano verso il detonatore della granata, staccò la linguetta e sganciò la sicura. Pochi istanti ancora e il dolore sarebbe cessato. Ormai c’era rimasta solo la rabbia.