La dichiarazione d’amore di Luigi Bonzanini

Vi sono giorni in cui i demoni della desolazione imperversano sul mondo e corrono col vento per le strade delle città, fomentando l’arroganza ed i soprusi dei protervi. In altri giorni, per ignoti meccanismi astrali, appaiono fra gli umani i demoni della collera, assai più pericolosi e spesso mortali. Il Maestro Domenico Sangallo, anima semplice, in tutto l’arco della sua lunga vita non aveva mai neanche sospettato l’esistenza di queste letali presenze metafisiche e ne era quindi stato spesso la vittima inconsapevole.

Le divinità infuriate prediligono i mesi estivi, quando l’afa soffocante rende gli umani predisposti a cadere nelle loro trappole.

Appunto in una serena mattina di luglio, il vecchio Sangallo si destò da un sonno irrequieto senza minimamente presagire le insidie che lo attendevano. Uomo scettico, pragmatico e vitalista fino all’eccesso, si levò di scatto dal letto con un’esclamazione compiaciuta:

“All’opre feconde!…”

S’aspettava che a questo suo retorico grido, qualche uccello canterino rispondesse con un trillo suadente ma, da oltre i vetri della finestra, nella pura luce del primo mattino, non percepì che un silenzio quasi irreale.

I demoni o spiriti malevoli in questione, usano sistemi assai subdoli per condurre le vittime predestinate ad un insostenibile livello di esasperazione. Abitualmente, gli strumenti meccanici e le situazioni in generale cominciano a non funzionare o funzionano in modo distorto. Il primo aggeggio che si inceppò fu il rasoio elettrico e proprio nel bel mezzo della rasatura mattutina, cosicché Sangallo si ritrovò con una guancia rasata e l’altra ancora irta di peli, tentando inutilmente di riavviare il rasoio riottoso.

Nei tempi lontani della sua gioventù, spesso veniva rimproverato per il suo carattere intollerante che, comunque, egli riteneva d’aver ammansito con la saggezza dell’età.

La stizza per quel noioso incidente ravvivò di colpo l’aggressività sopita ed egli prese ad imprecare a bassa voce:

“ Ma guarda che razza di trappola, Marianna porcona!… E porco qua e porco là!…”

Il suo disappunto era in fondo giustificato dato che proprio quella mattina contava di far visita ad una dama assai avvenente che, di tanto in tanto, apriva il suo salotto ad una cerchia esclusiva di persone raffinate. Da alcuni mesi il Sangallo era perdutamente invaghito della bella signora e contava appunto quel giorno di recarsi da lei per dichiararle i propri sentimenti. Ovviamente, presentandosi in quelle condizioni grottesche, con mezza faccia sbarbata e mezza irsuta, avrebbe fatto una figura ben meschina.

Comunque, determinato a non lasciar spazio allo sgomento, subito si ricompose dichiarando a voce alta:

“Andrò dal barbiere! ”

Finì di vestirsi in fretta e scese in strada a cercare la sua modesta ma dignitosa utilitaria. La trovò tempestata di guano d’uccello. Uno stormo di colombi si era accanito a sfregiarla con una solerzia quasi ossessiva. Sangallo riprese a mugugnare imprecazioni, stavolta a bassa voce, per non farsi udire dai passanti che avrebbero potuto scambiarlo per uno zotico.

“ Porcaccia la Marianna beduina!… Ma guarda che razza di schifezza!… Proprio sulla mia dovevano sfogarsi quelle bestiacce fetenti!…”

Infastidito e visibilmente alterato, aprì lo sportello e si mise al volante. Accese il motore e la macchina si mise in moto con notevole difficoltà. Manovrò per uscire dal parcheggio e, proprio in quel momento, un giovanotto svagato gli saettò davanti in sella alla sua moto. Sangallo frenò di colpo evitandolo per un soffio. Il motore si spense bruscamente e la spia dell’impianto elettrico prese a lampeggiare.

Sangallo, sempre più livido e teso, proruppe in una bestemmia irripetibile. Senza neanche rendersene conto, prese a tempestare di pugni il volante digrignando i denti e grugnendo come un cinghiale braccato. Cercò immantinente di riprendere il controllo:

“Calmo!… Io sono calmo come la iena che s’apposta per l’agguato!… Niente e nessuno può scalfire la mia calma ferrea!…”

Perse una decina di minuti a suggestionarsi con altre affermazioni del tipo:

“Sono inossidabile come una baionetta inglese, inattaccabile ed infallibile come uno squalo del Mar Rosso!…”

Poi riavviò il motore e la vettura rimase inerte e silenziosa. Sangallo girò e rigirò la chiavetta dell’accensione, ma pareva proprio che la sua sfortunata vettura avesse ormai esalato l’ultimo respiro. Uscì dall’abitacolo e s’incamminò a piedi, diretto verso la bottega del barbiere. Camminando, non poteva evitare di roteare gli occhi lanciando occhiate belluine all’intorno. I passanti che lo incrociavano, restavano a fissarlo perplessi. Il negozio del barbiere distava circa tre isolati: il furibondo Domenico lo raggiunse in una ventina di minuti a passi veloci, spintonando senza scrupoli chi gli si parava dinnanzi. Giunse finalmente davanti alla bottega e un moto di sgomento gli si dipinse sul volto: sulla saracinesca abbassata spiccava un cartellino scritto a mano:

Chiuso al mattino per terapie al ginocchio

Vi era quasi un compiacimento diabolico in quella semplice frase vergata con apparente noncuranza. Ma quali terapie?!… Lo sanno tutti che le terapie non servono ad un cavolo! Se quell’imbecille aveva il ginocchio della lavandaia, avrebbe fatto meglio a tenerselo e a proseguire col solito orario senza fare tante storie. E poi, proprio quella mattina aveva scelto per farsi le terapie! Non poteva aspettare il giorno dopo? Non poteva farsi amputare la gamba che, tanto, per il suo mestiere non era prettamente indispensabile? Non poteva farsele amputare entrambe così da restare in permanenza nel negozio per essere disponibile in casi d’emergenza come il suo?! Niente! Quell’impiastro doveva farsi le terapie e lo lasciava solo nel momento più drammatico della sua vita. Cosa avrebbe detto la marchesa Fanny vedendolo apparire con la faccia sconciata in quel modo? Si sarebbe fatta una risata; anzi, si sarebbe sbellicata dalle risate, e tutta la paziente opera di seduzione portata avanti per svariati mesi sarebbe crollata come un castello di carte per colpa di quel fesso e del suo ginocchio della lavandaia!

Sempre più stravolto, Sangallo trasse dal taschino l’orologio per controllare l’ora: le dieci e mezza. Alle undici aveva fissato l’appuntamento in casa della marchesa. Ed ella abitava nel quartiere dei benestanti, quasi all’altro capo della città. Urgeva una decisione. Rinunciare?… Impossibile! La faccenda andava risolta al più presto: Sangallo non poteva ancora protrarre gli indugi portando avanti quel penoso stato di prostrazione in cui era caduto a causa del suo innamoramento. Bisognava dichiararsi ed in un modo inequivocabile per poter finalmente uscire dai tormenti e dalle ansie in cui si dibatteva. Non c’era un minuto da perdere! La marchesa era una donna di mondo e non si sarebbe formalizzata per il suo aspetto bizzarro; più tardi, nell’intimità, dopo essersi liberato della gravosa incombenza della dichiarazione, avrebbe potuto spiegare con calma le cause banali della sua trascuratezza. Benché non più giovanissimo, Sangallo aveva ancora le gambe salde. Troncando di netto ogni indugio com’era tipico della sua indole pragmatica, s’avviò a passo svelto verso la dimora di Fanny.

Fu una traversata epica a passi falcati, senza quasi il tempo di respirare. Forse Sangallo aveva un po’ sopravvalutato le sue energie. Giunse al portone della marchesa quasi schiantato dalla folle camminata. Boccheggiando e con la vista appannata, riuscì infine a suonare il campanello.

Dal citofono si levò una voce bassa e compassata che chiese:

“Chi è?…”

Asciugandosi la fronte sudata con un fazzoletto, Domenico riuscì a farfugliare:

“ Sono Sangallo!… Ho un appuntamento!…”

“Chi?!…”

“Sangallo!…Porca Marianna!… Sono Domenico Sangallo!… La marchesa m’aspetta!…”

“Va bene, entri pure. Guardi che l’ascensore è rotto.”

Udendo quell’ultima e fatidica frase, il disgraziato Domenico fu ad un passo dal tracollo psicofisico. Con un moto disperato s’aggrappò alla maniglia del portone perché sentiva le ginocchia piegarsi per lo sfinimento e la tensione. Il portone s’aprì con uno scatto e Sangallo trovò comunque la forza di entrare nell’androne semibuio.

Vide la tromba delle scale che gli apparve inaccessibile e minacciosa come una vetta inviolata e fu sul punto di piangere per la disperazione. La solita voce grave e neutra, da un’altezza indefinita lo rampognò:

“Si sbrighi! La marchesa sta per uscire! ”

Sta per uscire?!… Ma come?! Io quasi mi faccio venire un infarto per essere puntuale e quella vuole uscire!…

In ogni caso, il dado era ormai tratto e bisognava andare fino in fondo anche se a questo punto Sangallo aveva una gran voglia di mandare a quel paese la marchesa assieme al barbiere, ai piccioni bombardieri, ai rasoi difettosi e a tutti i dannatissimi accidenti di quella infausta mattinata.

Cinque piani a piedi: senza quasi respirare, ma ce la fece. Sulla porta dell’appartamento lo aspettava Ubaldo, il sussiegoso domestico della Fanny. Si sa, i nobili sono attaccati alle tradizioni con un’ostinazione quasi maniacale, e la marchesa Fanny ci teneva ad avere in casa quella specie di beccamorto in marsina che, grazie alla sua faccia pallida ed inespressiva, dava all’ambiente un tocco di ancien régime assai pittoresco. Sangallo non lo poteva soffrire avendo l’impressione che quel baccalà dai modi affettati lo scrutasse di continuo con malcelato disprezzo.

Comunque, in quel preciso frangente Sangallo non era nelle condizioni di disquisire sui modi di Ubaldo; in pratica si scaraventò letteralmente oltre la porta d’ingresso per poi crollare distrutto su un divano.

“La vedo sconvolto!…”

“Ma no, sono solo un po’ provato per scale! ”

“ Lei sta sudando! ” continuò l’altro con un tono che a Sangallo parve sarcastico.

“ Sto benissimo! Mi annunci alla marchesa!… Ho un appuntamento.”

“Come vuole, ma dovrà attendere. A causa del suo ritardo la signora era già sul punto d’uscire. La signora non ama aspettare.”

Andate ad impiccarvi, tu e la signora!

Uscito il sinistro cameriere, Sangallo, finalmente solo, prese a rimuginare pensieri sempre più tetri. L’ora delle decisioni irrevocabili era dunque scoccata. Il suo futuro, le sue speranze erano tutte là, oltre la soglia del salotto che fra poco avrebbe oltrepassato. Il cammino della sua vita era ormai ad un bivio; non doveva, non poteva fallire.

Ma cosa le dirò?… Come troverò le parole?…

Il suo demone interiore riprese a pungolarlo:

Devo! Devo riuscire a convincerla! Ella è il faro che illuminerà i miei ultimi anni. Quella creatura così dolce, affabile e sensibile. Ella mi ama, lo so per certo!…

Nel frattempo i minuti passavano lenti come secoli e la porta del salotto non s’apriva.

Sangallo prese ad agitarsi sul divano in preda ad una smania ansiosa; cominciò a torcersi le mani ed a mangiarsi le unghie, ormai senza più controllo sul suo delirio interiore.

L’eternità passò sulla testa di Sangallo sconvolto da un’ansia indicibile. Ma anche l’eternità ha una fine e quando l’uscio maledetto del salotto finalmente si aprì, sulla soglia apparve il malevolo Ubaldo che agli occhi di Domenico sembrò quasi un messaggero dell’Aldilà. Il domestico disse soltanto:

“S’accomodi!…”

Niente di più e niente di meno, ma quell’unica parola risuonò nelle orecchie di Sangallo come una sentenza. S’avanzò con le gambe che tremavano, e la luce del salotto inondato dal sole di mezzogiorno quasi lo accecò. Fanny, una bella donna di mezza età dal portamento aristocratico, si volse verso di lui ed esclamò:

“ Finalmente si è deciso!…”

Il tono della marchesa era di distratta noncuranza, ma Sangallo non se ne rese conto.

“Dunque, di cosa doveva parlarmi con tanta urgenza?…”

Sangallo provava un curioso cerchio alla testa; tentò di rispondere e lui stesso si stupì del tono insolitamente acuto della propria voce:

“ Io!…”

“Sì, voi?…”

Fanny sembrava quasi divertita nel vederlo in quello stato.

“Io ardo!…”

“Si vede! Siete tutto rosso in faccia e sudato! ”

“ Ma no!…Intendevo dire che io ardo!…”

“Ho capito.”

La Voce di Sangallo gli uscì dalla gola come una sorta di gemito querulo:

“Io ardo d’amore per voi!…”

Fanny rimase per un momento perplessa poi, con studiata lentezza, s’affacciò alla porta e chiamò:

“Ubaldo!…”

Riapparve il domestico ed a Sangallo sembrò che trattenesse a stento un ghigno satanico. Fanny fissò il suo spasimante con uno sguardo freddo come una lama di rasoio e quindi, rivolta al servo ghignante, sussurrò gelidamente:

“Ubaldo, porta al signore un bicchiere d’acqua gelata! Non vedi come arde?!…”

Nella calura opprimente di quell’afosa giornata di luglio, chi si trovò a passare nei pressi della lussuosa dimora della marchesa Fanny certo non poté evitare di notare un curioso individuo che vagava senza meta strabuzzando gli occhi e balbettando frasi sconnesse. Pare che, verso sera, qualche anima pietosa abbia informato chi di dovere.

Giunse un’ambulanza e il disgraziato vi fu caricato a viva forza. Quattro robusti infermieri dovettero provvedere al penoso incarico poiché l’individuo scalciava e si dimenava come un ossesso, sbraitando ingiurie e maledizioni.