Succube di Andrea Leonelli

La sua silhouette si stagliava nel riquadro della porta del balcone
Il suo corpo in negativo, bagnato dalla luce della luna e dal buio della stanza
L’ovale delle testa, il lungo collo che si unisce alle spalle, e poi giù, scendendo fino alla vita, stretta e poi i fianchi generosi, le lunghe gambe.
Il vento portava odore di lei, un po’ selvaggio, un po’ sudore, un po’ sesso e sigaretta.
Il fumo di quest’ultima ne decorava i contorni danzandole attorno lieve, e l’ho invidiato, per la vicinanza, la delicatezza del tocco, l’artisticità degli arabeschi.
Si gira, aspira dalla sigaretta e la brace le illumina, crudele, il bel volto trasformandolo in un ghigno satanico, rosso, spietato.
Lancia la sigaretta che descrive una curva come cometa triste per l’essere stata gettata via, rifiutata dopo essere stata sfruttata.
Il suo passo, sicuro, lieve e implacabile come quello di un predatore mentre si avvicina al letto, dal quale la stavo osservando.
Scivola e mi fissa con quei suoi occhi verdi, quasi luminosi, indagatori…
Sta cercando di leggermi dentro, e probabilmente ci sta riuscendo. Sono abbastanza lineare, scoperto, semplice.
Mi fissa, e mi sento come cadere, una vertigine.
Allunga una mano e mi sfiora il torace senza smettere di fissarmi, mi sta sfidando, e sa benissimo che io ho già perso. Come lo so io.
Dopo avermi così guardato può chiedermi di fare qualsiasi cosa e sa che le ubbidirò senza protestare, mi annulla, non riesco a ribellarmi…
E’ come se mi ipnotizzasse…Intanto la sua mano vaga sul mio corpo, continua a sfiorarmi, delicatissima e al contempo dura, incide con le unghie lunghe la mia pelle, ma senza dolore, lievissima.
Si alza, si volta e dandomi le spalle mi dice:
“Vattene adesso. Se e quando ti vorrò rivedere ti chiamerò io, Intesi!?”
Chino il capo, accenno un silenzioso si nel momento in cui volge la testa dalla mia parte sopra la spalla, raccolgo le mie cose e me ne vado.
Mi rivesto in un’altra stanza, fuori dalla sua vista, poi sempre silenziosamente esco chiudendo delicatamente la porta della sua casa…
Mi avvio verso la mia abitazione pensando alla mia miseria, e alla angosciosa attesa che mi aspetta. Solitudine, tristezza, ansia…
Il desiderio di lei, che mi domina, che mi usa per il suo piacere, è insopportabile, ma so che devo ubbidire, altrimenti mi punirà negandomi la sua presenza. Troppo dolore la consapevolezza che lei esista e sia irraggiungibile. Meglio servire “a chiamata” che mai.
Sono succube. Di LEI.