Il mio nome di Irma Panova Maino

Lento il respiro si sofferma sulle labbra, mentre il gemito ha la stessa eco del battito che rallenta, diventando profondo. La mano si distende sul lenzuolo candido cercando quell’appiglio che impedirà ai sensi di volare via, di perdersi nel caleidoscopio di colori che dipingi sulla mia pelle.
Nel silenzio sento scivolare le tue dita, come se avessero la stessa consistenza della seta che mi accoglie, graffiandomi l’anima con la tenerezza del gesto, marchiandomi nel fuoco che ancora non brucia, ma consuma.
È il calore del mio amante, quello che scorgo dietro la benda, il suo sapore che risveglia i miei sensi, il sentore della sua passione che mi scuote, scaraventandomi oltre il reale, in quel mondo onirico in cui le anime si fondono e si confondono con le ombre della sera.
Mi danza intorno, sfiorando le estremità della mia coscienza, sussurrando quelle catene che imprigioneranno il mio volere, riducendomi schiava di quella brama che non riesco più a nascondere.
Il fiato pare congelarsi in quell’attimo in cui comprendo, in cui sciolgo i nodi delle corde che mi hanno tenuta legata, a una verità che non mi appartiene più. Sento quella parte di me che era rimasta assopita e dormiente, tendere verso i confini del mio mondo antico, cercare quel passaggio che potrebbe condurre il mio essere a nuova vita, verso colui che mi ha dato il mio nome celato. Che mi ha chiamata, con quel sussurro portato dal vento, usando l’unica parola che avrebbe aperto quel mausoleo in cui ero stata rinchiusa.
E quel gemito lieve diventa tempesta, diventa l’uragano che spazza via i detriti, le rovine, i cocci di un passato ormai obsoleto.
Chiamami con il mio nome. Quello vero, quello che hai compreso perché hai visto l’essenza di ciò che sono. Chiamami per portarmi a te, cavalcando quella tempesta che solca i cieli e illumina le tenebre con i suoi lampi di passione e i suoi tuoni di ardore.
Richiama a te gli ioni che crepitano nell’aria e che sono le molecole del mio essere tuono e fulmine e tempesta, particelle cariche di quell’elettricità che solca i nostri corpi, bagnandoli di quella patina umida che aumenta il desiderio represso.
Fammi arrivare fino a te attraverso quel lieve pronunciare, attraverso i sensi protesi e le mani che si sfiorano esitanti, tremanti, quasi incredule.
Dimmi ciò che sono. Nulla di ciò che è stato mi appartiene più, non ho più identità, corpo e forma.
Sarò ciò che tu vuoi che io sia, perché sarà il tuo calore a modellare la mia essenza, adattandola alla tua. E mentre languo nell’attesa, aspettando che tu definisca i miei contorni, lascio i mie pensieri vagare nelle sensazioni che creo nella mia mente, ricordando te, i timbri della tua voce, dei tuoi sospiri. È un corpo che s’inarca, che si tende verso un sole che ancora non è sorto, ma che tinge l’orizzonte annunciando la nuova era.
Un corpo pronto per spiccare il volo verso l’astro nascente, pronto a bruciare al suo calore, ancora e ancora, come se non potesse mai morirne e mai saziarsi.
Invece muoio e risorgo ogni giorno sulle tue labbra, avvelenato miele che mi riduce a brandelli l’anima, trascinandomi nei desideri torbidi della tua brama, senza darmi tregua, senza lasciarmi quel respiro essenziale, che mi permetterebbe di vivere.
Tuttavia, cosa sarebbe questa vita, senza la tortura che mi infliggi, senza il fuoco che mi consuma. Cosa sarebbe senza la tua voce che mi sussurra e m’incatena nell’illusione?
Allora chiamami, fammi risorge nel mio nuovo mondo, sovrana della tua terra, padrona del tuo cuore. Lascia che sia di nuovo fertile e produttiva la tua terra. Sono la vita che spira fra le fronde, riportando nuova speranza. Nuovi boccioli sui rami spogli.
Pronuncia il mio nome e rendimi eterna, lasciando che l’alba ci colga sfiniti e colmi della sola tenerezza che alberga nei cuori.
Dammi il nome che mi spetta, l’unico che veramente conta, che serra i ferri sulla mia carne, facendomi tua.
Chiamami amore