L’abbandono (estratto dal libro) di Monica Pasero

CAPITOLO PRIMO
Le scelte cambiano la tua vita
e condizionano quella altrui.
A fatica il vecchio montò l’ultimo scalino in pietra.
“Sophie, sono io!” disse spalancando la porta del piccolo
alloggio che si apriva su un modesto cucinino. Come di consuetudine,
ogni mattina l’uomo scendeva in paese dalla piccola frazione
sita a pochi chilometri di distanza, per fare alcuni acquisti,
e non mancava giorno che non andasse a portare alla piccola
nipotina il latte fresco appena munto dalla sua vacca migliore.
Ormai era quasi passato un anno da quando suo figlio se
n’era andato….
Giovanni era felicissimo di quella creatura, che aveva dato
al vecchio una nuova energia, spenta ormai da tempo dopo la
prematura morte della moglie.
La bambina aveva riportato all’uomo la gioia di vivere, ma
poi un giorno le cose erano cambiate e un’amara sorpresa aveva
colto impreparato il vecchio: Mario, il suo unico figlio, era fuggito,
abbandonando moglie e figlia al proprio destino. Aveva cercato
di rintracciarlo, ma Mario, dal giorno della sparizione, non
aveva più dato notizie: né una lettera, né una telefonata. Così,
disperato, spendeva le ultime energie per stare accanto alla nuora
e alla sua piccola.
La prima volta che il figlio gli portò in casa la giovane, d’origini
francesi, lui si era subito intenerito.
Era ancora una bambina. “È troppo giovane per te!” gli aveva
detto in confidenza, ma il figlio, innamorato perso di quella ragazza
dai lineamenti delicati e dai grandi occhi scuri che spiccavano
sul viso quasi etereo, non aveva voluto sentire ragioni e
poco tempo dopo la passione fra i due giovani era sbocciata
forte ed impetuosa portando a germogliare nel grembo di lei una
nuova vita: una figlia.
Si preparò il matrimonio il più velocemente possibile per
evitare le malelingue, che a quell’epoca erano molto più presenti
che oggi. Allora una donna all’altare doveva essere pura come il
suo abito, ma Sophie quel giorno tra le pieghe dell’abito bianco
celava un cuoricino che pulsava in attesa della vita fuori dal suo
grembo.
Sophie e Mario presero in affitto un piccolo alloggio. Era
molto modesto, ma era il loro nido d’amore e lui immaginava già
di poterlo negli anni migliorare e forse un giorno avrebbero avuto
una casa tutta loro.
All’inizio le emozioni furono tante.
La letizia dell’unione e la nascita della piccola furono motivo
di grande gioia, che purtroppo durò poco, andando a calare
quando i primi problemi iniziarono imponenti a sovrastare l’amore
fra i due sposi.
Mario perse il lavoro al cantiere, i soldi erano sempre meno
e le responsabilità sempre di più.
Il giovane cadde in una forma di depressione, sconfitto dalle
porte in faccia che ogni giorno riceveva, dalle bollette non pagate
che si accatastavano sul comò.
La disperazione del futuro e la pesantezza della responsabilità
ebbero il sopravvento sull’uomo, che, debole, trovò la strada
più facile: si diede alla fuga.
Un mattino, senza una parola, se ne andò, lasciando sul tavolo
della cucina gli ultimi soldi, procurati attraverso la vendita
dell’unico cimelio di famiglia che posseva.
Giovanni aveva tentato di aiutarlo e in più di un’occasione
gli aveva proposto di lavorare la terra insieme con lui; ma lui,
ragazzo orgoglioso, non aveva voluto arrendersi all’evidenza di
non essere in grado di mantenere la propria famiglia e per non
dover vivere ogni giorno con quel senso d’inadeguatezza li aveva
abbandonati, con una scelta amara.
Nei paesi piccoli le voci correvano e in breve tempo la giovane
sposa fu tempestata da sguardi maliziosi. La gente l’osservava
come se fosse stata lei a far fuggire il marito, la guardava
male, come una donna incapace di tenere il proprio uomo.
Solo Giovanni comprendeva il dolore di Sophie e la difendeva
contro tutti a spada tratta ogni qualvolta che qualche stolto
sputava sentenze su di lei.
Sophie era grata al vecchio. L’amore per Mario era andato
oltre e tutto ciò che credeva di costruire con lui era sciolto come
neve al sole. I suoi sogni di una vita normale, con un marito e una
famiglia, erano scomparsi e gli incubi avevano preso il loro posto.
Osservava la piccola Laura addormentata nel suo lettino e
rifletteva, rifletteva e più pensava, più i suoi pensieri diventavano
demoni.
La sua mente non era lucida, l’abbandono dell’uomo che
amava l’aveva portata all’esasperazione e, dopo mesi in cui aveva
indossato una maschera per cercare di ritrovare un briciolo di
serenità, dentro di lei radici di rancore e di rabbia germogliavano,
come gramigna in un campo coltivato.
Più la piccola cresceva, più nei suoi occhi rivedeva quelli
dell’uomo che l’aveva illusa promettendole amore eterno e alla
prima difficoltà l’aveva abbandonata.
Tutti quei pensieri e quei risentimenti s’impadronirono di lei
e una sorta di follia prevaricò sulla ragione. Più il tempo passava,
più lei si convinceva della sua incapacità di essere una brava
madre. Quei pensieri presero sempre più piede nelle sue convinzioni
e pian piano si insidiarono in lei come radici; fino a che,
dopo un’altra nottata d’incubi, la donna, spinta dalla follia, decise
di abbandonare la bambina.
Laura si agitava nel lettino in legno, scalciava e tentava di
uscire. La donna guardò ancora una volta la sua piccola e le
pose accanto una cartolina con scritto il perché del suo abbandono.