Ascensore di Gianluca Frangella

Click. Ah! Eccolo. Arriva. E questa che vuole ora?
– Lo hai chiamato giovanotto?
– Chi?
– L’ascensore. Questi giovani d’oggi sempre con la testa fra le nuvole.
– Sta arrivando, non lo vede?
Tutte a me capitano. Va bene, non è un problema, ci passo qualche piano insieme e poi chi si è visto si è visto.
Ascensore, quinto, quarto, terzo piano. Si è fermato. La signora continua a premere pulsanti. E’ un pochino ansiosa direi. Arrivano altre persone. Un bel gruppetto di giapponesi, ridono sempre. E lì? Che bella ragazza. Dai vieni qui, andiamo allo stesso piano? Ma dai!
Ascensore, secondo, primo piano. Si è fermato ancora. E la ragazza si avvicina.
– Arriva?
– Chi?
– L’ascensore!
– Si l’ho chiamato, sta arrivando – risponde la signora guardandomi storto. Ma cosa vuole da me? Ha un po’ la puzza sotto il naso.
Altre persone, speriamo che quest’ascensore abbia tanta pazienza. Si apre la porta.
Tutti entrano, io aspetto educatamente per ultimo. La ragazza mi è ancora vicino.
– Prego – le faccio io indicandole di entrare, lei entra sorridendomi per dire grazie. La signora preme il suo piano. Entro anche io e domando da vicino la tastiera:
– piano signori?
– ‘VEのたわごとを暴行 – mi fa un giapponese e ride. Vorrei farlo anche io, ma ho poco senso dell’umorismo oggi. La signora però ride. Forse parla anche lei giapponese. La ragazza è in silenzio. Intanto io attendo che qualcuno risponda.
– Va bene per tutti il trentaduesimo?
– ‘VEのたわごとを暴行 – ride di nuovo il giapponese. La signora lo sostiene ancora. La ragazza interviene:
– no, io gentilmente il quinto.
– Do you speak english sir?
– Certo che parlano inglese. Loro vanno al trentaduesimo piano. Sono con me – interviene la signora.
– ‘VEのたわごとを暴行 – ridono di nuovo i giapponesi.
Ascensore, primo, secondo, terzo, quarto piano. Si ferma. Salgono due persone, ne scende una. Quinto piano. Si ferma. Scende la ragazza, mi sorride. Sale una suora. Sesto, settimo piano. Si ferma. Scende la suora, sale un inserviente. Si sposta la folla, esce un signore distratto dal telefonino. Ottavo piano. Si ferma. Non esce nessuno, tutti salgono, e con noi sale anche un certo odorino. Vuoi vedere che un giapponese ha sganciato?
– ‘VEのたわごとを暴行 – e ridono. La signora anche. Ne sono certo: ha la puzza sotto il naso. Non la mia, ma perché mi guarda? Non ci provare a darmi la colpa. Non lo faccia.
– Ha sganciato ragazzo?
– ‘VEのたわごとを暴行- ride il giapponese. Vuoi vedere che mi sta dando la colpa?
Ascensore. Nono, decimo, undicesimo piano. Si ferma. L’odore scende? No resta. I giapponesi ridono, esce l’inserviente, entra un uomo ben vestito. Dodicesimo, tredicesimo, quattordicesimo. Il signore scende, l’odore resta. Chissà a quale piano va? Quindicesimo, sedicesimo piano. Si ferma. La porta si apre. Faccio spazio ma nessuno scende, nessuno sale. Diciassettesimo, diciottesimo. Di nuovo si ferma. Ora scende un giapponese, si guarda intorno, e rientra.
– ‘VEのたわごとを暴行 – mi guarda e di nuovo ride.
Diciannovesimo, ventesimo, ventunesimo. Si ferma. C’è un altro inserviente. Entra, sente l’odore, e:
– scusate, ho sbagliato – ci ripensa. Quasi, quasi scendo anche io. Ma ho un colloquio, e non posso mancare. Ventiduesimo piano. Ventitreesimo. Ventiquattresimo. Venticinquesimo. Ventiseiesimo. Si ferma. C’è la cameriera con il carrello e i cappuccini che entra.
– Scusate, permesso, scusate. Trentesimo per piacere. Grazie.
– ‘VEのたわごとを暴行 – di nuovo ride. Ma che vuole? La cameriera mi guarda storto. Vuoi vedere che anche lei parla il giapponese? Ventisettesimo, ventottesimo, ventinovesimo. Di nuovo l’odore. Ma non mi guardate, perché non sono stato io. Ci mancherebbe. La mia odora meglio. Ventisettesimo. Ventottesimo. Ventinovesimo. Trentesimo. Scende la cameriera. Trentunesimo, trentaduesimo. Si ferma. Scendo anche io meno male. Sembra scendano tutti, siamo arrivati.
– Arrivederci, salve, salve. Prego dopo di lei – faccio a un giapponese.
– ‘VEのたわごとを暴行 – mi ride in faccia. E la signora esce, e ride annuendo. Per ultimo esco io, sosto un istante, e l’odore sembra uscire con noi. Ma che vuole? Tutti mi guardano. Ma non sono stato io.
Mi sorride ora la signora:
– ma posso sapere chi cerchi al trentaduesimo piano?
– Avrei un colloquio con una certa Letizia … Letizia…
– Oh si! E’ la ragazza che è scesa al quinto piano.
Devo scendere di nuovo? Non ci voleva. Ride il giapponese, mi guarda. Avrà capito anche lui?
– ‘VEのたわごとを暴行 – e stavolta mi indica una scarpa.
– O porcaccia! – esclamo io … ho pestato anche una cacca.