↑ Elevandosi di Regina Re

In ascensore, elevandosi verso i piani alti che dominano le varie targhe affisse all’entrata di un palazzo a vetri, quelli a specchio che vedi fuori ma non vedi dentro, dove senti soltanto squilli di telefoni e le porte sono aperte perché chi lavora tiene la porta aperta.
L’unico saluto gentile che ricevi prima di passare la tua tessera magnetica è il buongiorno del portiere. Dal buongiorno decidi se prendere le rampe oppure inchiodarti davanti le porte chiuse e spingere il pulsante verso l’alto. L’alto è fondamentale perché se la freccia è verso il basso te ne vai dritto nel garage e poi ti fai un giro panoramico brevissimo, il tempo che le porte si aprano e si chiudano, frazione di tempo durante la quale altre facce in attesa decidono di mischiarsi o no nel tuo stesso spazio.
L’ascensore trasporta il carico, gli odori, anche il fumo dall’esterno è ammesso ad essere trasportato nonostante i divieti affissi in ogni angolo. Mi porto il mio “one” di CK e le mie Camel Light blu morbide che poi verranno costrette in una sala fumatori chiusa ermeticamente. Lì il mio odore non è distinguibile dagli altri profumi, il fumo è fumo e basta e le mie Camel Light blu sono anonime.
E’ anonimo il mio ciao, anche il mio colore di capelli. Il violino profondo era più profondo di questo colore modificato dai giorni trascorsi in un luogo dove al sole è permesso entrare senza chiedere permessi. Sono modificata ma nessuno se ne accorge. Mi sta anche meglio questo colore ma non durerà a lungo. Ritornerò dentro me stessa e nel profondo del viola molto presto.
L’ascensore trasporta anche due anonimi individui verso l’alto delle loro illusioni.
Uno dei due all’altro, con un accento del Nord: “Hai visto, c’ho la borsa professional…non c’è un cazzo dentro…”