In ascensore, elevandosi verso i piani alti che dominano le varie targhe affisse all’entrata di un palazzo a vetri, quelli a specchio che vedi fuori ma non vedi dentro, dove senti soltanto squilli di telefoni e le porte sono aperte perché chi lavora tiene la porta aperta.
L’unico saluto gentile che ricevi prima di passare la tua tessera magnetica è il buongiorno del portiere. Dal buongiorno decidi se prendere le rampe oppure inchiodarti davanti le porte chiuse e spingere il pulsante verso l’alto. L’alto è fondamentale perché se la freccia è verso il basso te ne vai dritto nel garage e poi ti fai un giro panoramico brevissimo, il tempo che le porte si aprano e si chiudano, frazione di tempo durante la quale altre facce in attesa decidono di mischiarsi o no nel tuo stesso spazio.
L’ascensore trasporta il carico, gli odori, anche il fumo dall’esterno è ammesso ad essere trasportato nonostante i divieti affissi in ogni angolo. Mi porto il mio “one” di CK e le mie Camel Light blu morbide che poi verranno costrette in una sala fumatori chiusa ermeticamente. Lì il mio odore non è distinguibile dagli altri profumi, il fumo è fumo e basta e le mie Camel Light blu sono anonime.
L’ascensore trasporta anche due anonimi individui verso l’alto delle loro illusioni.
Uno dei due all’altro, con un accento del Nord: “Hai visto, c’ho la borsa professional…non c’è un cazzo dentro…”