Fiori finti (tratto dal racconto omonimo di “QUATTRO RACCONTI… QUATTRO”) di Anna Cibotti

Ripensandoci, il giorno che ricevette la telefonata di Valentina, fu presa da una leggera malinconia: era passato tanto tempo, ma il ricordo di quegli anni era più vivido che mai, e con esso, il rimpianto per le cose non fatte e per quella voglia di interiorità così forte allora, e persa piano piano con l’andare degli anni. Scrivere poesie era stato per loro, un espressione forte di sofferenza interiore (quella sofferenza senza la quale non si riesce a scrivere…….. ) Così pensavano entrambe.
Erano versi pieni di lacerante solitudine e malinconia e riflettevano, in parte, l’influsso dei poeti che loro amavano di più ( Garcia Lorca e Pablo Neruda), inoltre, le loro letture “impegnate” erano per loro fonte d’ ispirazione e stimolo alla continua ricerca della vera natura del loro mondo interiore, tormentato come può esserlo quello di due giovani donne sensibili e intelligenti unite da una comune curiosità per tutto ciò che le avrebbe messe nella condizione di porsi delle domande, le cui risposte, si dicevano, non sarebbero mai state esaurienti.
“Dove è finito quell’ardore con cui si chiedevano i perché” pensava Eleonora.” Col passare del tempo, raggiunta una certa serenità ed esperienza, si perde nella quotidianità, quella passione e quello slancio che fanno delle cose del mondo una continua avventura: rimane il piacere del conoscere ( se lo si è avuto sempre ), ma si guardano e si vivono le storie senza quella struggenza che le rendeva così uniche e irripetibili.”
Già!…. non erano cambiate ……..ma quelle che erano state, ora non lo erano più! A questo pensava quel giorno Eleonora, e le vennero in mente quei versi di Neruda che tanto erano piaciuti sia a lei che ad Elisa (:………….la stessa luna che fa biancheggiare gli stessi alberi, noi, quelli di allora più non siamo gli stessi!)