Il volto della luna di Cristina Pezzica

Il volto della luna

Riserva

Tratto da: “Ombre nella nebbia” (di prossima pubblicazione)

‘A furia di parlare con i vecchi, si finiva per sorbirsi un mucchio di discorsi da vecchi e a pensare come i vecchi’, si disse, mentre avanzava barcollando lungo le stradicciole bagnate dalla luna.
Per questo lui preferiva frequentare gente giovane. Le nuove generazioni, quelli che – se la sua vita fosse andata diversamente – avrebbe potuto avere per figli e nipoti. Non erano affatto rozzi e superficiali, i giovani. Al contrario, lo coinvolgevano, lo facevano sentire uno del gruppo; era perfino convinto che in fondo in fondo lo ammirassero. La sua vita poteva non essere stata quel granché, ma ai loro occhi doveva sembrare un’infinita serie di avventure. Sì, lo trattavano come un coetaneo con qualche anno di più.
Sbatté le palpebre cispose e cercò di orientarsi. Da che parte era casa sua? Sì, sulla sinistra, in fondo, oltre il mercato.
La città sembrava così diversa, alla luce della luna. Nemmeno ricordava quand’era stata l’ultima volta in cui era rientrato tanto tardi. Ma quella era la vita dei giovani […]; alla loro età potevano permettersi di tutto. Se ritenevano che lui fosse ancora abbastanza in gamba per far parte del gruppo, non li avrebbe certo delusi.
Alzò lo sguardo sulla luna, incorniciata dai tetti. Ricordava di aver sentito dire – o forse l’aveva letto da qualche parte? – che la luna aveva un volto. Divertito, socchiuse gli occhi e cercò di distinguere dei lineamenti – un naso, una bocca – anche se gli girava la testa e si sentiva un po’ confuso. Pensò che se lei lo avesse visto in quel momento, si sarebbe sicuramente impensierita. Era sempre tanto apprensiva, nei suoi confronti…

«Non farmi stare in ansia, Giugiù!»
«Stai tranquilla!», le aveva risposto ridendo. «Non sono mica da solo, ci saranno Tonio e la Lilli e tutta la combriccola!»
«Sei sicuro di volerci andare? Sai che mi preoccupo…»
«Ma no, vedessi come mi vogliono bene!»
«Prometti che starai attento?»
«Certo che sei proprio una suocera, te!», aveva risposto in genovese, per prenderla in giro. Come al solito, lei non aveva capito un accidente e gli aveva chiesto di tradurre. Era una specie di scherzo fra loro due, di cui però non si stancavano mai.

In quel momento, va a capire perché, gli sembrò che il volto della luna avesse i suoi occhi. Sorrideva, sì, ma in quella sua maniera un po’ triste, come se avesse voluto dirgli tante cose e non ne avesse avuto il tempo.
‘Ecco,’ pensò, appoggiandosi alla saracinesca del negozio di animali. ‘Questi sì che sono discorsi da vecchio… meglio che te ne torni a casa e vai a letto, Giugiù…’
Il mercato era avvolto nel buio, e lui non lo degnò che di un’occhiata superficiale; era troppo stanco e non ci vedeva nemmeno granché bene. Ma il cigolio che salì improvvisamente dalle ombre, quello lo sentì eccome. Girò la testa a destra e a sinistra; gli sembrava che pesasse una tonnellata.
«Ehi…?», farfugliò.
Poteva essere stato un gatto? Un piccione che si era alzato in volo e aveva fatto cadere una tegola saldata male? ‘Meglio spostarsi’, decise, attraversando rapidamente il chiosco.
Era a metà strada quando un carrello malridotto, di quelli che i commercianti usavano per trasportare la frutta e la verdura sui loro banchetti, si mosse verso di lui. Normalmente, Giugiù non ci avrebbe fatto caso, ma in quel momento la cosa lo stupì. Cosa ci faceva un carrello in mezzo alla strada, a quell’ora di notte? Tutti i banchi erano chiusi, in giro non si scorgeva anima viva.
Vide il carrello dirigersi verso di lui, oscillando e scricchiolando sulle ruote arrugginite. Forse era l’effetto del buio, ma gli sembrò quasi che si muovesse da solo.
«Ehi?», chiamò, sbattendo le palpebre. «Chi… chi c’è?»
L’unica risposta fu il cigolio del carrello che continuava ad avanzare, inesorabile.
Forse, se Giugiù Parodi fosse stato maggiormente in sé, avrebbe pensato a scansarsi. Forse si sarebbe perfino accorto che la velocità del carrello aumentava a ogni metro. Ma tutto quello a cui riuscì a pensare fu che lei si sarebbe preoccupata, si sarebbe preoccupata da morire se gli fosse successo qualcosa…
Lanciato a tutta velocità, il carrello lo travolse con tanta violenza da mandarlo a sbattere contro il muro di fronte. Il suo fragile corpo ricurvo scivolò a terra senza un gemito. Non riusciva nemmeno più a sentire il dolore, ma i suoi occhi vedevano ancora il cielo nero, senza nemmeno una nuvola.
Vide il volto della luna e pensò nuovamente che avesse i suoi occhi. Il volto della luna, sì… strano, sembrava quasi che piangesse… era una lacrima, quella, non poteva sbagliarsi. Una lacrima rossa.
Il sottile rivolo di sangue attraversò il campo visivo di Giugiù e gocciolò sul “lastricato, accanto alla sua testa. Solo che lui non poteva più vederlo, ormai.

8 Risposte a “Il volto della luna di Cristina Pezzica”

  1. Voto questo testo…un racconto triste, ma allo stesso tempo bello e profondo

  2. Voto questo testo. Non solo è bello in generale, ma è scritto molto bene. Giusti i tempi, le pause e le battute… un vero scritto d’autore.

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