La voce dell’odio di Maena Delrio

La voce dell’odio

Fuori concorso

La donna giaceva nuda sulla neve. Un largo solco, sporco di terra bagnata, segnalava il suo passaggio dalla porta di casa fino al bosco. Si era trascinata fin lì carponi, e ora fissava il suo ex marito con occhi vitrei, una lacrima congelata nell’atto di cadere nel vuoto a lato della guancia. Poco male, pensò l’uomo, dritto di fronte a quella carne pallida resa bluastra dal freddo, con lo sguardo rivolto al solco: la nevicata che stava arrivando avrebbe cancellato anche quell’ultima traccia. Ethan rabbrividì. La temperatura si era notevolmente abbassata. Lo sentiva nelle ossa: l’alito gelato dell’inverno aveva attraversato gli strati del cappotto di pelliccia, per aggrapparsi saldamente appena sotto l’epidermide e costringerlo a camminare quasi ricurvo, nel tentativo tanto sciocco quanto inutile di trattenere quel poco calore corporeo che gli era rimasto. Al chiaro di luna la sua ombra sembrava una massa informe, un enorme mostro gobbo che arrancava sotto la luce lattea, tingendo di oscuri presagi il bianco splendente.
«Non parli più tesoro? Non cerchi di fregarmi con le tue moine, adesso? Ora che quel cane non ti può proteggere stai zitta, vero? Com’è che si chiama? Brendon, Brando…? Tranquilla, prima tocca a te, poi verrà anche il suo turno…»
L’uomo si chinò di fronte al viso di Elsa, quasi nell’atto di accarezzarle la testa. La fissò negli occhi: per una frazione di secondo la donna vide passare nel suo sguardo un lampo di compassione; e pensò che, se avesse ricambiato l’espressione, forse si sarebbe potuta salvare. Il pugno invece le arrivò, potente, appena dietro l’orecchio, tanto da farle roteare gli occhi all’indietro, mentre un fiotto di sangue tingeva di rosso la distesa immacolata sotto di lei.
«…in alcuni momenti ero così vicino a voi che avrei potuto anche uccidervi entrambi nello stesso istante, mentre ti montava come un cavallo. E invece volevo vedere. Dovevo vedere di persona di cosa aveva bisogno una cagna come te per godere. E ho visto, eccome! Ti sei illusa mia cara! Tu sei sempre stata solo mia, mia, hai capito?».
Li aveva spiati a lungo, Ethan, nonostante l’ordinanza restrittiva gli intimasse di non avvicinarsi a meno di un isolato dalla casa della donna e dal posto di lavoro: mentre passeggiavano mano nella mano sul lungomare o ai giardini pubblici; perfino in camera da letto, dalle fessure delle persiane semichiuse. Le descrisse minuziosamente tutti gli appostamenti, tutte le attese e le ore passate ad aspettarla nei posti più impensati; e la rabbia che a ogni avvistamento sentiva aumentare in petto fino a fagocitare ogni altro pensiero.
La voce dell’uomo era bassa. Baritonale, quasi. Lei se la ricordava bene: era quella che nei lunghi anni del loro infelice matrimonio, Ethan aveva usato quando cercava di ricordarle quanto poco valesse, la stessa voce che aveva sottolineato a più riprese i suoi errori e i suoi insuccessi. Forse, in un’altra vita, avrebbe potuto cantare come tenore in un dramma teatrale, pensò Elsa, e nello stesso istante si sentì a disagio, per aver elaborato un pensiero così inadatto alla situazione estrema che stava vivendo. Strano come la mente cerchi di divagare di fronte al dolore, per cercare di sfuggire all’inevitabile.
«Come hai potuto pensare di lasciarmi per lui, Elsa? Puttana! Come hai potuto pensare che ti avrei permesso di vivere senza di me?»
Ora la voce di Ethan si era fatta più acuta, più forte. Elsa notò che nel pronunciare il suo nome, mentre tirava fuori il lungo coltello da macellaio da sotto il pesante cappotto e lo impugnava per sferrare il fendente mortale, l’uomo aveva cercato di trattenere un sussulto, come se l’odio che traboccava dai suoi gesti premesse sulla laringe per fuoriuscire insieme alle parole.
D’istinto la donna chiuse gli occhi, e la sua mente fu invasa dal buio dell’ineluttabilità del suo destino. Si preparò a ricevere il colpo, coprendosi a testa con le braccia, in attesa. Ciò che avvenne dopo non l’avrebbe mai dimenticato: un tonfo sordo, come di un sacco lasciato cadere da una certa altezza che scarica tutto il suo peso al suolo, seguito, -o forse preceduto, la donna non riusciva ad avere un chiaro schema temporale di quegli istanti- da un rumore come di tuono proveniente da un punto indistinto alle sue spalle. E quello scricchiolio di suole che calpestavano la neve in maniera irregolare, sempre più vicino al punto in cui lei giaceva. Infine, un paio di braccia che la sollevavano da terra e restavano immobili, avvinghiate a quel corpo tremante che ancora non aveva messo a fuoco la possibilità di essere ancora in vita, nonostante tutto.
Brando lasciò cadere la pistola e afferrò saldamente la donna che ora piangeva convulsamente, mentre ricominciava a nevicare. Fiocchi grandi e soffici, che vorticavano intorno a loro e si posavano, coprendo con un manto candido il sangue caldo che si allargava sotto il corpo ormai privo di vita di Ethan; una macchia che la terra avrebbe assorbito e trasformato in polvere, e che il vento avrebbe sollevato e portato lontano, fino a farla scomparire.

6 Risposte a “La voce dell’odio di Maena Delrio”

  1. Lo so che è fuori concorso ma io lo voto lo stesso. Voto questo testo!

  2. Una pagina cruda che, purtroppo descrive cose che accadono. Lo voto

  3. Come ho già scritto, nonostante ci sia scappato il morto, c’è un lieto fine.
    Ho letto con piacere.

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