Villa Arzilla di Mara Cristina Dall’Asen

Villa Arzilla

La scritta campeggiava sopra il portone d’ingresso di Villa Arzilla: “Music was my first love and it will be my last”. Erano parole tratte dalla canzone “Music” di John Miles. Eh… suoni d’altri tempi!
Villa Arzilla era appena fuori dal centro, immersa nel verde di un parco. Non era una casa di riposo per anziani, era semplicemente una casa di riposo. Lì dentro si riposava e si ascoltava, si leggeva e si discuteva. Era una specie di “agorà” del mondo moderno.
Alcuni inquilini erano giovani, pochi; meno giovani, pochi; uomini e donne di mezza età, tanti. Che poi vorrei che qualcuno mi spiegasse dove sta questa età di mezzo, perché fluttua parecchio. La portinaia non si formalizzava più di tanto su chi entrava e usciva. Che poi la anche la portinaia era una persona molto particolare, si chiamava Wilma, come quella dei Flintstones, era sempre nella sua guardiola con le cuffie wireless, escluso quando veniva presa dalla claustrofobia e non riusciva più a trovare la porta giusta per uscire dalla stanza delle scope. In quella stanza c’erano due porte: una per entrare e uscire e una chiusa a chiave che portava nella sala caldaie, ovviamente lei si appendeva a quella e dopo aver stramaledetto tutti i conoscenti e amici cominciava a urlare, così arrivava l’Esercito della Salvezza sotto le sembianze di Fred: suo marito… che caso… anche lui come quello dei Flintstones. I due si compensavano a vicenda ed erano appassionati di Blues, a dire il vero lì dentro erano in tanti ad adorare il blues.
Dimenticavo… ogni stanza per l’ascolto era insonorizzata e attrezzata con tutti i dischi e cd del genere evidenziato sulla porta: jazz, blues, dance, pop, rock, folk, classica e molto altro ancora. Al secondo piano c’erano delle stanze piene di libri, sia sulla musica che di altro genere.
A Villa Arzilla potevi incontrare un signore chiamato da tutti “O direttore”: in passato era stato un famoso DJ: aveva una capoccia incredibile, musicalmente conosceva tutto di tutti e se solo captavi la sua voce per un attimo venivi catturato come da un incantatore di serpenti.
Nella stanza adiacente invece stava “O principe”: signore napoletano di rara signorilità e compostezza, ma se si parlava di musica… era finita! Non so quante volte ho sentito la storia che la musica è nata prima della parola… e che si moltiplica per ogni emozione, per ogni uomo e donna e per ogni secondo, in un’infinità di sensazioni. Su una cosa però devo concordare con lui: la musica è l’unica vera forma di arte democratica accessibile a tutti, senza considerare poi che nessuno passa una sola giornata senza fruire della sua bellezza. La musica è nei supermercati, nei telefilm, nella pubblicità, ovunque.
Tra questi due signori faceva la spola “Semprepresente”, appassionato dei New Trolls prima maniera, quelli di “Concerto grosso” ormai lo so anch’io che sono l’ultima arrivata. Cercava disperatamente di convincere i suoi compagni di piano a rimetterlo sul piatto del giradischi, ma non sempre aveva fortuna.
Questi tre facevano combriccola con un altro personaggio della casa: “O ragioniere”, ovviamente quando c’era perché, da grande appassionato di concerti, vagava inebetito come un’ape da stato a regione, a continente. Il peggio era per sua moglie che, oltre a doverlo seguire, doveva anche sorbirsi tutti i concerti, l’ultimo a cui erano stati era dei Kiss. Sì, sì, proprio quelli tutti pitturati strani che distruggono le chitarre… sui gusti qui non si discute! Questi erano i fondatori di questo strano villaggio semi-turistico, i quattro dell’Ave Maria! E come in ogni villaggio che si rispetti c’erano anche gli animatori: i giovani. Arrivati, attratti da suoni a loro sconosciuti, ne erano rimasti talmente affascinati che non si erano più mossi. Tra di loro scrittori, baristi, ricercatori, turnisti per caso, anche Maga Magò, nonni…Non so in quale categoria metterli i nonni perché sono ancora più originali degli altri… Uno per tutti un ex insegnante di inglese, con una santa donna di moglie che ha condiviso tutto con lui, ma non la sua “bambina”… la moto, serigrafata personalmente e sempre pronta per i vari raduni in giro per l’Europa, ovviamente con le cuffie nel casco e Bruce Springsteen a palla.
Una bella varietà umana, completamente sballata e con dei padiglioni auricolari a mo’ di Dumbo, ma vera, vibrante e sicuramente non noiosa. Non erano normali, non erano neanche matti… mah, forse un po’ sì. Di certo malati di musica, perché quando si arriva a questi livelli… è una malattia. L’unico lato positivo è che non è un male fisico, anzi, il peggio che ti può capitare è un brivido intenso e improvviso che ti coglie sull’assolo di Eric Clapton.
E io cosa ci faccio qui… io sono il giullare di corte, quello che inciampa anche sul pavimento dritto e che riesce sempre a non sapere un tubo di quello che sanno tutti gli altri. Ascolto famelica ogni cosa nel tentativo disperato di raggiungere il loro livello… ma non ce la farò mai. Così spalanco le porte della casa e mi lascio letteralmente investire dalle note che fuoriescono, le faccio mie e poi spalanco le finestre perché anche chi sta fuori possa sentirle.
Fuori da Villa Arzilla è sempre pieno di gente, giovani o vecchi poco importa, ciò che importa è solo la musica, musica, musica… sino alla fine.

11 Risposte a “Villa Arzilla di Mara Cristina Dall’Asen”

  1. Voto questo testo.
    Ci vorrebbe nella realtà un’oasi come quella che hai così ben descritto. lasciarsi prendere dalla passione e condividerla allegramente con chiunque voglia ascoltare sempre e solo musica. Brava.

  2. Voto questo testo perchè Mara è riuscita con garbo, con originalità, con simpatia a raccontare una esperienza di vita vissuta in compagnia di persone conosciute virtualmente accomunate dalla passione e dall’amore per la musica. Grazie Mara per le emozioni che sei riuscita a trasmettermi con questo breve ma indimenticabile e intenso racconto.

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