Gabbia di Sara Stuani

Gabbia

stuaniSono nato nel buio e nel nulla, nel freddo vuoto di un mondo ovattato. Solo pochi attimi e il calore è scomparso; non vedevo e non riuscivo a sentire nulla attorno a me. Il cemento su cui ero stato gettato era freddo e bagnato, il mio corpo immobile scosso dai brividi, non poteva procurarsi calore.
Non ricordo come sono sopravvissuto, ne se ho mai provato il calore materno, il gusto del latte. So solo che quando la mia vista è comparsa e il mio udito si è sviluppato, avrei preferito restare nel mio limbo freddo e silenzioso che in quella realtà senza scampo.
Grida e pianti giungevano da ogni dove attorno a me, liti e lotte per accaparrarsi il poco cibo erano un susseguirsi quotidiano. Non potevo uscire da quella grigia e stretta prigione, non avevo mai corso, non avevo mai visto il sole. Nessuna carezza mi aveva mai sfiorato, non sapevo cosa fosse l’amore.
Gli anni sono passati; prima uno, due, quattro. Tutti così uguali che alle fine ho perso il conto. Sapevo solo che ogni alba mi ritrovavo ancora lì in quel buco, in quella prigione che non mi ero guadagnato in alcun modo e che non meritavo. Non avevo chiesto io di nascere e col tempo la voglia di vivere mi stava abbandonando.
Attorno a me c’erano arrivi e partenze, più numerosi i primi che i secondi. Sentivo e vedevo negli occhi degli altri la mia stessa disperazione, il nulla che ci divorava dall’interno insieme alle malattie e alle piaghe. Ecco cos’era la mia vita: un immenso vuoto da cui non si poteva sfuggire se non con la morte.
Un giorno sono iniziati i dolori, gli inverni e le piogge erano i miei aguzzini peggiori. La fame era una costante a cui mi ero abituato, la solitudine una condanna diventata un’amica familiare e conosciuta. Ma il freddo e la sofferenza fisica mi impedivano di alzarmi da quel freddo cemento, di avvicinarmi alle sbarre arrugginite per cercare di scorgere qualcosa del corridoio, vedere uno sprazzo di cielo ogni tanto.
Quanto tempo era passato? Da quanto ero lì? Se la vita è questa non ha alcun senso continuare a vivere, forse dall’altra parte starò meglio, forse almeno la fame e il dolore spariranno. Restavo accasciato nel mio angolo giorno e notte, avevo smesso di mangiare e di bere. Forse così la morte sarebbe arrivata prima e avrebbe riempito quel vuoto assoluto di cui ero circondato. Avrebbe tolto ogni sofferenza.
Un giorno come mille altri giorni. Piove.
Sento la porta che si apre cigolando. Sarà qualcuno che cerca di farmi mangiare o mi punge con strani aghi per “curarmi”. “Lasciatemi morire!” Urlo, ma so che tanto nessuno mi ascolta. Non qua, non in questo inferno.
Una mano delicata mi tocca la testa. Non riesco a alzare lo sguardo, il mio corpo è vecchio e consumato. Non mi risponde più. Un’altra carezza e un’altra ancora, è così leggera che non mi fa male. Sento che ora posso andare via felice, perché ho sentito l’amore in quel delicato contatto appena sfiorato. Il mio scarso udito sembra percepire una frase di cui non capisco il significato eppure il mio vecchio cuore perde un colpo.
“Voglio lui.” Dice. “Signorina non vede che sta morendo?” un’altra voce ribatte. Sento un’altra carezza sul mio corpo magro e tremante. “Non è un problema suo. Come si chiama?”
“c34. E’ qui da 12 anni. Non ha nessun nome. Nessuno gliel’ha mai dato.”
Sento due braccia bagnate che mi stringono e con delicatezza mi sollevano da terra. Una volta ero pesante ma ora potrebbe alzarmi anche un soffio di vento. Il calore di un corpo caldo contro il mio. Annuso il suo odore e penso sia il profumo più bello del mondo, del mio piccolo universo di cemento e morte.
Mi sfiora il pelo sporco e il muso, sfrega il viso contro il mio, incurante del mio cattivo odore, delle mie ferite, della mia immobilità. Titubante le sfioro il viso con la lingua ruvida e secca. Lei ride e a quel suono mi sento felice. Non mi ero mai sentito così prima di quell’istante.
“Andiamo, piccolo.” Dice “Ti porto a casa.”
Chiudo gli occhi e penso che non sento più quel vuoto dentro che mi divora l’anima, penso che per lei potrei anche sforzarmi di continuare a vivere.
Combatterò per amarla con tutto me stesso il più a lungo possibile e la amerò per sempre.

27 Risposte a “Gabbia di Sara Stuani”

  1. Ho un debole per gli animali e quindi mi tocca molto da vicino. Inoltre, è scritto molto bene e quindi lo voto.

  2. voto questo testo.a volte sottovalutiamo la solitudine degli animali, eppure loro sono capaci di soffrire proprio come noi

  3. Intenso. Interpretare emozioni e pensieri di altri esseri non è facile. Tu l’hai fatto bene. Voto questo testo.

  4. Un bel racconto che si può adattare ad ogni creatura intesa in senso lato. Scoprire che si tratta di un cane é bellissimo perché anche io ho avuto un cane adorabile per 16 anni.
    lo voto

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