I sopravvissuti di Maena Delrio

I sopravvissuti

Tema: Librerie impolverate

La stanza era in penombra. Una luce fioca, spettrale, penetrava attraverso le fessure del soffitto e i gelidi raggi illuminavano nuvole dense di pulviscolo che parevano galleggiare in assenza di gravità, in un’aria greve di ricordi dimenticati e sepolti nella memoria dei racconti degli ultimi sopravvissuti. Arial si tolse la maschera che gli premeva sul viso: gocce di sudore gli imperlavano la fronte, mentre muoveva gli occhi vigili, percorso da un continuo tremore alle membra.
Trattenne il respiro. Aveva imparato una tecnica infallibile al centro di addestramento, riusciva a rallentare il battito cardiaco e limitare le funzioni vitali: in questo modo limitava il bisogno di ossigeno del proprio corpo e poteva stare in apnea anche per periodi abbastanza lunghi. In rare occasioni aveva provato a inspirare la miscela di gas che un tempo aveva permesso la vita sulla Terra: gli ultimi comunicati stampa vietavano ancora l’inalazione diretta, eppure lui non aveva avuto alcun effetto collaterale dopo aver respirato senza le adeguate protezioni, non a breve termine, perlomeno.
Non sapeva come fosse arrivato fin lì: se gliel’avessero chiesto, avrebbe giurato di aver sentito una voce… ma chi voleva prendere in giro, gli unici suoni e rumori là fuori potevano provenire solo dalla sua immaginazione. Ricordava di essersi addentrato in una serie infinita di cunicoli e porte socchiuse, talvolta spalancate o divelte ,così come dovevano essere state lasciate dai proprietari che cercavano di sfuggire all’estinzione di massa nell’esatto momento in cui la prima detonazione aveva fatto vibrare il suolo sotto i loro piedi: chi sta scappando non si preoccupa di chiudere la porta. Aveva evitato invece di aprire quelle sbarrate: probabilmente certe stanze custodivano ancora gelosamente le tracce della tragedia che vi si era consumata e il dolore e lo strazio di quegli ultimi attimi, congelati per l’eternità al di là di quelle soglie, sarebbe stato troppo pesante da affrontare, per lui.
Forse fu per questo (la tensione, la paura, l’entusiasmo della scoperta) o forse era solo sovrappensiero: Arial non si accorse di aver cominciato a respirare da parecchi minuti. Trasalì quando Ingrid, dietro di lui, gli mise una mano sulla spalla. Anche lei si era tolta la maschera. Era la prima volta che potevano guardarsi in faccia senza che le fattezze dei loro visi venissero deformate dalle luci artificiali del Cunicolo. Il ragazzo sorrise e indicò con un dito ciò che per la prima volta si rivelava ai loro occhi: libri, a dozzine, giacevano in pile ordinate sotto strati compatti di cenere finissima e bianca; se ne poteva indovinare il profilo sotto i cumuli composti. Qua e là alcune colonne erano crollate rovinosamente a terra e pagine ingiallite dal tempo ricoprivano l’intero perimetro della stanza.
“Arial, guarda , non sono bruciati…”
La donna si sorprese nell’udire l’eco delle sue stesse parole risuonare tra le mura: non si era resa conto di aver dato voce al primo pensiero che le era balenato nella mente alla vista di quella strabiliante scoperta. E, forse, fu sempre in balia della stessa emozione che l’aveva resa ubriaca e sorda, che non sentì le parole di Arial intimarle di non toccare nulla; e non si accorse del ragazzo che le afferrava le mani nell’attimo stesso in cui lei cercava di toccare la catasta che aveva di fronte. Un tesoro tanto prezioso quanto evanescente si disfece di fronte ai loro occhi: come pedine di un domino che cadendo le une sulle altre innescano un’inevitabile e distruttiva reazione a catena i tomi che fino a quell’istante erano stati gli ultimi scrigni cartacei di un’umanità estinta cominciarono a disgregarsi come castelli di sabbia. A nulla servì il grido straziato di Ingrid che, resasi conto dell’immane disastro che aveva azionato, crollò a terra, svuotata di ogni emozione. E nulla poté fare Arial, spettatore suo malgrado della distruzione dell’unico legame col passato: la metafora stessa della condizione umana, per la quale una sola scelta sbagliata aveva portato alla rovina un’intera civiltà. Certi eventi non si possono arrestare; il destino, quando è stato già scritto, non può essere cambiato.
A questo pensava Arial mentre si rimetteva la maschera e si riavviava a passo lento all’imbocco del Cunicolo, trascinando Ingrid che versava in un preoccupante stato catatonico, dal quale sarebbe uscita solo molte settimane più tardi. Coloro che ascoltavano il racconto del miracoloso ritrovamento, attribuivano le farneticazioni dei due ai livelli preoccupanti di gas serra e acidi che avevano inalato durante il tragitto e alla fine anche Arial e Ingrid si convinsero che doveva essere andata proprio così: era stato tutto un sogno, e non poteva far male ciò che non era mai esistito. Avrebbero dimenticato, per non essere schiacciati dal rimorso e dal peso del passato che si era sgretolato davanti ai loro occhi. Non poteva essere altrimenti, in fondo era nella loro natura lasciarsi tutto alle spalle e andare avanti: erano i Sopravvissuti.

14 Risposte a “I sopravvissuti di Maena Delrio”

  1. Voto questo testo.
    una prospettiva non così lontana da un futuro prossimo. Speriamo ce il disegno cambi. brava

  2. Un quadro straziante di un futuro senza ombra di speranza in un racconto ben scritto! Lo voto!

  3. Ecco, bravi, meglio far finta di nulla e andare avanti, da sopravvissuti.
    Brava. Lo voto

  4. Questo brano è molto in sintonia con le mie corde, oltre che ben scritto. Il tema forse non è originale, ma la fine sicuramente sì. Mi è piaciuto molto, lo voto.

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