Anonimo di Claudia Lo Blundo

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Tema: Librerie impolverate

Seduta sulla poltroncina dorata, l’anziana donna aspettava che venissero a prenderla perché, come avevano detto i figli, aveva bisogno di essere accudita.
Dal cortile della bella casa costruita, dove una volta c’era una povera cascina, le giungeva un bisbiglio prodotto dalle persone raccolte nell’ampio cortile che aveva preso il posto della povera aia. Erano i suoi fedeli venuti a salutarla.
Rivolse un saluto alle tre pareti della stanza ricoperte di libri. Non sapeva quanti fossero, ma le sfuggì un sorriso sornione perché da lì aveva tratto ispirazione ed era diventata quella che tutti consideravano la miracolosa, la paziente, la dispensatrice di sorrisi che facevano bene al cuore di tutti. Già! Poggiava una mano e il male, se non cessava, si alleviava e il malato, grato, andava via più sereno, confortato al pensiero che lei, la miracolosa, avrebbe pregato per lui.
Quanti libri! Forse erano più di mille, non li apriva da anni, né aveva permesso ad altri di farlo: immaginava la polvere che vi si era poggiata sopra.
Aspettava i figli. Sorrise maliziosa svelando le radici della mandibola priva della dentiera che si ostinava a non voler portare; non avrebbero mai saputo di non essere figli di un unico padre: suo marito.
Se quelli là fuori avessero saputo. Ahahah.
No! Non avrebbero mai saputo nulla!
Tutto sarebbe morto con lei, lei che, per caso, aveva scoperto di avere nelle mani la capacità di trasmettere calore. Da lì, chissà come, aveva preso l’avvio tutto ciò che era accaduto dopo.
Però…per essere credibile, aveva dovuto documentarsi e leggere tante vite di santi, di missionari, di suore. Quei libri! Rivolse loro uno sguardo dispiaciuto per doverli lasciare, chissà che fine avrebbero fatto, chissà se altre mani li avrebbero aper…!
Noooo!
L’assalì una rapida forte costernazione. Nooo, nessuno avrebbe dovuto leggerli!
Perché non se n’era più ricordata?
Tra quei libri, una notte aveva nascosto una sorta di confessione della propria vita. Ne aveva fatto un libriccino anonimo, di poche pagine e, dopo aver tagliato le pagine interne di un tomo ben corposo, ve lo aveva inserito dentro.
Che stupida era stata! L’aveva scritto in un momento di debolezza mentale, no, non rimorso: le era passato dinanzi la mente tutto ciò di cui nessuno avrebbe mai potuto immaginare lei fosse capace.
Aveva avuto figli da amanti diversi. Aveva cambiato città e, per fare la maitresse, aveva speculato su fanciulle ignare venute dai paesi dell’est. Aveva speculato sulla generosità della buona gente quando era rimasta vedova: oddio, non aveva fatto nulla per evitare la morte del marito.
Aveva fatto tutto questo prima di capire che la sua vera ricchezza stava nelle proprie mani e così, poi, aveva manipolato la credulità delle genti. E ora che andava via, qualcuno avrebbe aperto quei libri e avrebbe trovato il suo scritto; dopo la sua morte non le sarebbe importato di nulla, ma non avrebbe sopportato le conseguenze se ciò fosse avvenuto mentre era ancora in vita.
Piuttosto preferiva morire!
Si alzò. Dal mobiletto farmaceutico, prese la bottiglia l’alcool, lo sparse sui libri sin dove poté e diede fuoco: la fiamma si sparse lungo le pareti. Il fumo le invase i polmoni e pensò che sarebbe morta in mezzo a quel fuoco, non avrebbe potuto resistere a lungo: forse era la fine che si meritava! Eppure ebbe la forza di irridere al pensiero che sarebbe morta da santa.
Mentre qualcuno la spingeva fuori casa, qualcosa le balzò in mano. Era il suo libriccino; come le era giunto? Per la sorpresa le scivolò dalle mani, pretese che glielo ridessero: non poteva permettere che altri leggessero quel che vi aveva scritto. Le sue confessioni amare, fatte in una notte di ripensamenti e poi dimenticate, le erano tornate davanti: perché?
Capì solo allora che la propria vita era stata tutta una falsità, e capì che, se aveva turlupinato il marito ignaro dei tre figli non suoi, e le fanciulle indifese e anche tanta povera gente alla quale aveva estorto tanto da potersi arricchire, in effetti aveva turlupinato se stessa: la sua vita era stata tutta una falsità. Lo capiva solo adesso, mentre quel libriccino sembrava bruciarle tra le mani! Cosa sarebbe successo quando chi l’aveva salvata avrebbe letto quelle pagine?
Ma quel che più la inquietava era un pensiero: cosa aveva fatto della propria vita? Aveva avuto un dono, quello delle mani calde, e invece di usarlo a fin di bene ne aveva abusato.
In un attimo le passò davanti tutta la sua vita, i suoi errori, gli usi e abusi.
Misericordiosa?
No, lo capì troppo tardi: lei aveva bisogno di misericordia! Non avrebbe mai dovuto dimenticare quel che, in un momento di ripensamento, aveva confessato a fredde pagine.
Era salva! Tutti applaudivano, ma lei si chiedeva se ci sarebbe stato un Dio disposto a usarle misericordia.
Aprì una pagina.

“Nella mia vita piena di sogni
Mi sono poggiata su fragile piedistallo
Ho reso la mia vita più leggera
E quel vetro non si è spezzato.”

Sfogliò il libriccino…pagine immacolate!
Sorrise grata, chiuse gli occhi e spirò.

28 Risposte a “Anonimo di Claudia Lo Blundo”

  1. voto questo testo! finale soprendente. C’è molto spessore che va “oltre” le parole e si percepisce mano a mano che lo scritto si snoda: .. emozioni, paure, rimpianti, rimorsi nascondono un’anima che nonostante tutto resta, a mio parere, candida e primitiva.

  2. c’è chi paga per i propri errori, chi invece implora perdono e non paga mai. Voto questo testo

  3. Questa storia mi ha colpito in modo particolare, molto significativa e anche profonda. Voto questo testo

  4. Voto questo testo.
    originale la storia e una bella metafora di vita.

  5. Una bella storia dal finale a sorpresa! Voto questo testo!

  6. Voto questo testo
    Molto interessante e con un finale a sorpresa! La vita che scorre davanti agli occhi come un film prima del’ultimo respiro che conclude una vita sbagliata

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